Giovedì 18 Aprile 2024

Giornata della memoria: il caso Bartali. Perché Gino è 'Giusto fra le nazioni'

Un libro mette in discussione il titolo attribuito al ciclista nel 2013 dallo Yad Vashem. Ma sono decine le testimonianze del suo eroismo. L’atleta nascondeva nei tubolari della bici documenti utili ai perseguitati ebrei rischiando l’arresto. Ha anche ospitato una famiglia israelita

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Sono giorni venati di malinconia al Museo della Shoah Yad Vashem di Gerusalemme. A causa del Coronavirus i cancelli restano chiusi, i suoi padiglioni e vialetti sono pressoché deserti. Le cerimonie per il Giorno della Memoria si svolgono in prevalenza su Zoom. "Settantasei anni dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz Birkenau – dice il suo direttore Avner Shalev – la storia e gli episodi dell’Olocausto sono più rilevanti che mai". Di fronte a chi tenta di travisare la Shoah o comunque di distorcerne il significato (come ormai accade in alcuni Paesi dell’Europa dell’Est), Yad Vashem si considera un bastione della difesa della verità storica. Ma di volta in volta i suoi stessi criteri sono messi in questione. In Italia il caso più recente è stato presentato dallo storico Stefano Pivato nel suo libro: ‘L’ossessione della memoria. Bartali ed il salvataggio degli ebrei: una storia inventata’. Diffusasi, secondo lo storico, "senza neppure una testimonianza credibile".

Eppure sulla vicenda di Bartali Yad Vashem, prima di riconoscerlo nel 2013 come ’Giusto fra le nazioni’, aveva proceduto coi piedi di piombo anche perché il grande ciclista aveva mantenuto un riserbo pressoché assoluto sulla vicenda ("Il Bene si fa, ma non si dice", amava ripetere). Alcuni anni prima due ricercatori canadesi, Aili e Andres McConnon (autori del libro su Bartali ‘Road to valor’), avevano avuto l’impressione che Yad Vashem stesse preparando il dossier con una cautela ai loro occhi quasi esasperante. Avevano infatti inoltrato a Gerusalemme una testimonianza che reputavano di grande significato. Si trattava di un’intervista a padre Pier Damiano, di un monastero di Assisi, che aveva detto loro di aver visto in persona come Bartali nascondesse documenti nella propria bicicletta e come l’avesse smontata di fronte ai suoi occhi. Quei documenti dovevano essere trasferiti da Assisi a Firenze, per essere poi distribuiti ad ebrei minacciati da persecuzioni razziali.

Nel frattempo Yad Vashem aveva raccolto anche altre testimonianze. Quella di Renzo Ventura, secondo cui la madre Marcella e i suoi genitori avevano ricevuto da Bartali documenti falsi, su iniziativa della rete organizzata dal cardinale Elia Dalla Costa (proclamato nel 2012 ‘Giusto fra le Nazioni’). C’era anche la testimonianza del sopravvissuto Giorgio Goldenberg-Paz, secondo cui Bartali mise un alloggio a disposizione dei genitori. Anche il cugino di Goldenberg, Aurelio Klein, riferì di documenti falsi inoltrati da Bartali.

Gli italiani riconosciuti quali Giusti fra le Nazioni sono oltre 730. L’iter che hanno dovuto superare non è stato di poco conto. Per loro, come per gli altri Giusti, è stato necessario stabilire che con il loro intervento attivo avevano salvato ebrei dalla morte e dell’internamento in campi di sterminio. Che inoltre avevano rischiato la propria vita o la propria libertà per soccorrere quegli ebrei. Che le loro motivazioni erano del tutto altruistiche: ossia che non era stato promesso loro alcun compenso o beneficio. Lo stadio più difficile è quello delle prove concrete: sempre più difficile da trovare, sia per il tempo trascorso sia perché le operazioni di salvataggio richiedevano una assoluta segretezza. Una volta che la apposita Commissione presieduta da un giudice della Corte suprema abbia confermato la onorificenza, il nome del Giusto viene inciso sul muro che costeggia uno dei viali del Mausoleo a perpetua memoria della sua figura.

Su Bartali, a Yad Vashem, c’è anche la testimonianza indiretta di Giulia Donati, originaria di Firenze. Da giovane era nascosta con i genitori a Lido di Camaiore. Un giorno alla porta si presentò inaspettamente un ciclista e la donna anziana che nascondeva quella famiglia lo respinse. Solo a posteriori si venne a sapere che probabilmente si trattava di Bartali. In punto di morte Donati aveva ormai dimenticato del tutto quanti le avevano provocato sofferenze durante le persecuzioni razziali. Invece ricordava ancora con devozione – malgrado il progressivo annebbiamento della memoria – i suoi benefattori di allora: non solo il celebre Bartali, ma anche alcuni altri ancora fra cui la ‘Beppa’. Era la signora Giuseppina Parronchi, portinaia della sua casa di Firenze, che consegnava ai genitori razioni di cibo.