Giovedì 18 Aprile 2024

Treviso, Gentilini si sposa a 89 anni. "Non so stare solo"

L’ex sindaco pasdaran della Lega torna all'altare

Giancarlo Gentilini, ex sindaco di Treviso (Ansa)

Giancarlo Gentilini, ex sindaco di Treviso (Ansa)

Treviso, 4 maggio 2018 - Lo sceriffo prende moglie. A 89 primavere, Giancarlo Gentilini, già sindaco di Treviso e maniaco dell’ordine, annuncia le seconde nozze. Le affissioni non mentono. A 40 giorni dal voto che lo vedrà ricandidato in Consiglio comunale nella lista sostenuta dal governatore del Veneto Luca Zaia, El Serifo si prepara a impalmare Maria Assunta Pace, la donna che lo ha stregato, nata a Potenza 72 anni fa. Il segno che l’amore non conosce steccati e può espandersi agevolmente oltre le sponde del Sile.

«Alla morte di mia moglie – spiega un compìto Gentilini alla stampa locale – quella signora (ndr, così definisce la futura consorte) mi ha dato la possibilità di continuare a vivere, in tutti i sensi» («tutti», precisa da gentiluomo – in passato favorevole alla riapertura delle case di tolleranza). Debolezze congenite. «Sono un uomo che non è capace di vivere da solo», è la confessione del gran tutore della Marca, due battaglieri mandati da sindaco (1994-2003) e due da vicesindaco (2003-2013), prima di essere abbandonato dai concittadini trevigiani per un giro di valzer con il centrosinistra.

La futura signora Gentilini, nonché possibile first siora di Ca’ Sugana, risiede da anni a Treviso e El Serifo se ne è innamorato rapidamente quando, sconvolto dalla perdita della consorte Teresina Pini (finita in casa di riposo nel 2014 a causa di una grave malattia), si è ritrovato senza l’affetto di una vita e neppure il conforto di un ruolo pubblico adeguato alla debordante carriera: quando alla grisaglia di bancario in Cassamarca preferì la fascia tricolore e una metaforica stella sul petto.

Leghista simbolo ma a suo modo anomalo, spesso dissenziente dalla linea ufficiale, contrario all’indipendenza padana in virtù di un passato da alpino, però anche megafono dei rancori veneti e di un poderoso anelito nordestino – da autentico testimonial di una immaginaria Heimat trevigiana – Gentilini ha informato i figli della scelta e ora prepara una cerimonia al riparo dai media. A fine mese e fuori Treviso.

Alla faccia del personaggio pubblico che fu, la parabola sentimentale del fascioleghista d’acciaio (denunciato per saluto romano in Consiglio comunale) svela agli elettori uno spiazzante ‘tenerone’, plasticamente lontano da quel rigido politico Dio-patria-famiglia a lungo incarnato sulla scena politica.

Fanfaronate e slogan. Spesso condannati dai media. E in un caso dalla Cassazione. Sui migranti: «Era domenica e ho visto nella zona della stazione decine di negri seduti sulle spallette del ponte (...) sacchetti e zaini attaccati penzoloni ai rami degli alberi (...). Non tollero che Treviso diventi terra di occupazione». Ancora sui «clandestini»: «Questa è gente che a casa sua era inseguita dalle gazzelle e dai leoni, la nostra civiltà è superiore a quella del deserto, a Treviso non vogliamo la casbah, dietro i marocchini c’è una cospirazione bolscevica».

Soluzione finale: «Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile». Però anche appassionato difensore delle «anarete del Sile», minacciate dai «cigni stranieri». E cultore di metafore animal-patibolari: «Quelli della sinistra sono nel braccio della morte. Aspettano solo il colpo sulla coppa come si fa coi conigli». Ogni tanto una caduta antigay: come l’incarico «ai vigili urbani» per «la pulizia etnica» dai «culattoni». Richiami persino dal clero.

Tutto perdonato? La vita corre veloce: quel Bossi minore, caratterista ‘glocale’ grazie alle sue sparate razziste e omofobe, ora è pronto alle nozze. Una terrona (forse) lo salverà.