Giovedì 18 Aprile 2024

Gaia e Camilla travolte: colpo di scena in aula Il giudice vuole un’altra perizia sull’incidente

Roma, slitta la sentenza e saranno risentiti i testimoni dell’investimento delle 16enni. Alla guida c’era Genovese, figlio del regista Paolo

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Slitta la sentenza del processo per la morte di Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli, le due 16 anni investite e uccise da Pietro Genovese la notte tra il 21 e il 22 dicembre. Ieri, nel giorno in cui era attesa la decisione del gup Gaspare Sturzo, il giudice con una ordinanza ha disposto di ascoltare i testimoni oculari dell’incidenti e i periti che hanno svolto le consulenze tecniche. Il giudice ha fissato due nuove udienza per il 4 e il 14 novembre. La decisione del gup è legata alla esigenza di approfondire le fonti di prova per arrivare ad una sentenza che faccia chiarezza su quanto avvenuto in Corso Francia.

"Siamo soddisfatti, quello disposto dal giudice è un approfondimento doveroso – ha commentato l’avvocato Giulia Bongiorno, legale dei familiari di Gaia –. Era stata fatta una ricostruzione sbagliata e nell’arringa abbiamo sottolineato gli errori. C’era stato un errore sin dall’inizio nell’individuazione del punto di impatto. Sono soddisfatta che il giudice non si sia accontentato della ricostruzione offerta che prevedeva un concorso di colpa delle ragazze. Ci sono risultanze processuali che smentiscono questo punto. È importante che non ci sia stata una decisione su una ricostruzione parziale e fuorviante".

Per l’avvocato Gianluca Tognozzi, difensore dell’imputato, "visto che le sentenze si emettono al di là di ogni ragionevole dubbio è evidente che c’è qualcosa che il giudice vuole chiarire. Cosa sia, non lo sappiamo". Le due ragazze vennero travolte all’altezza del semaforo in uno schianto violentissimo. L’auto con a bordo Pietro Genovese le ha uccise sul colpo. Nei suoi confronti la Procura contesta il reato di omicidio stradale plurimo in un processo che si svolge con rito abbreviato.

Il pm Roberto Felici ha sollecitato per l’imputato una condanna a cinque anni di carcere. Il processo si è basato, fondamentalmente, su una serie di perizie e consulenze disposte da Procura e dalle parti. Per i consulenti di parte civile il "sinistro stradale era pienamente prevedibile ed evitabile" e la causa dell’incidente "è da imputare esclusivamente in termini di colpa a Genovese in quanto vi erano ampi margini di arresto in tempo". Diametralmente opposta la ricostruzione delle difese secondo cui il drammatico impatto era "imprevedibile e inevitabile" alla luce anche della visuale oscurata dall’auto che precedeva quella dell’imputato. Secondo quanto ricostruito dal pm Roberto Felici, Genovese quella notte aveva un tasso alcolemico superiore al consentito frutto forse della serata trascorsa a casa di un amico e la sua auto viaggiava ad una velocità "sostenuta", ben superiore ai 50 km orari. Nel corso del processo lo stesso Genovese ha dichiarato di "non avere visto le due ragazze". "Ricordo di essermi fermato con il suv al semaforo – ha affermato – e di essere ripartito con il verde. Non volevo uccidere nessuno nè volevo scappare. Ero andato ad una festa a casa di un mio amico che rientrava a Roma dal progetto Erasmus. Abbiamo quindi deciso di tornare a casa e ho imboccato Corso Francia. Ricordo – ha detto – che il semaforo era sul verde e ho ripreso la marcia, sono ripartito".