Furbetti del bonus, alla fine paga l’Inps Il Garante: "Violata la privacy dei politici"

Sanzione da 300mila euro: l’istituto diede informazioni su migliaia di amministratori pubblici che avevano richiesto gli aiuti anti-Covid

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di Claudia Marin

C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine il Garante della privacy si è mosso. E, per la prima volta, ha sanzionato con 300mila euro di multa l’Inps, proprio per violazione della privacy, per come ha trattato i dati dei titolari di partita Iva che, la scorsa primavera, chiesero il bonus Coronavirus da 600 euro. L’accusa è di quelle pesanti: l’Autorità per la protezione dei dati personali ha contestato all’Istituto di aver trattato in modo illegale i dati personali di milioni di cittadini nell’ambito degli accertamenti antifrode avviati per scoprire i politici "furbetti". La reazione dei vertici dell’ente guidato da Pasquale Tridico non si è fatta attendere: "Pur ritenendo eccessivo l’impianto di giudizio complessivo, l’Inps attiverà prontamente la valutazione di impatto richiesta e la cancellazione dei dati non necessari".

Tre le ragioni alla base della sanzione, contenute in 22 pagine di provvedimento: mancata definizione dei criteri per trattare i dati di determinate categorie di richiedenti, uso di informazioni non necessarie rispetto alle finalità di controllo, ricorso a dati non corretti o incompleti, inadeguata valutazione dei rischi per la privacy.

Accuse gravi per un ente pubblico, che nascono dall’istruttoria avviata nell’agosto scorso, quando vennero fuori le indiscrezioni sui cinque deputati che avevano presentato domanda di bonus, tre dei quali (Murelli e Dara della Lega e Rizzone dei 5 Stelle) lo avevano pure incassato. Senza contare le decine di consiglieri e assessori regionali, consiglieri comunali e sindaci, che ugualmente lo avevano chiesto e ottenuto.

Il punto è che il Garante, dopo tutti gli accertamenti eseguiti, pur riconoscendo che "lo svolgimento dei controlli sulla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’erogazione del bonus è riconducibile a compiti di interesse pubblico rilevante", ha constatato molteplici criticità nelle modalità utilizzate dall’Istituto nell’attuare l’operazione di controllo.

"In primo luogo – è il duro j’accuse dell’Autorità – dopo aver acquisito da fonti aperte i dati di decine di migliaia di persone che ricoprono incarichi di carattere politico, l’Istituto ha effettuato elaborazioni e incroci tra i dati di tutti coloro che avevano richiesto il bonus con quelli dei titolari dei predetti incarichi. Ciò senza però aver prima determinato se ai parlamentari e agli amministratori regionali o locali spettasse o meno tale beneficio, anche in considerazione delle differenti caratteristiche delle cariche ricoperte. In questo modo l’Inps ha violato i principi di liceità, correttezza e trasparenza stabiliti dal Regolamento Ue in materia di protezione dei dati personali".

Ma non basta. "L’Inps – si incalza nel verdetto - non ha rispettato neppure il principio di minimizzazione dei dati, avendo avviato i controlli finalizzati al recupero dei bonus anche su tutti quei soggetti che, pur avendolo richiesto, non lo avevano percepito, visto che la loro domanda era già stata respinta per ragioni indipendenti dalla carica ricoperta".