Roma, 20 ottobre 2021 - Periferie abbandonate dai votanti prima ancora che dai candidati a sindaco. Ceti medi che si dimostrano, in città come Milano, persino loro, riluttanti a recarsi ai seggi. Dotte analisi di allarme sul crollo della partecipazione al voto. Alle ultime elezioni comunali, quelle del 3-4 ottobre, si è raggiunto il minimo storico assoluto dell’affluenza: 54,7% contro il 61,6% di cinque anni fa, al primo turno. Ancora più in basso, il voto, ai ballottaggi (44%). Dati, è ovvio, non comparabili tra loro, ma solo città per città, eppure simili ovunque. Un disastro. E sindaci che sono risultati eletti, dappertutto, dal 20-25%, se va bene, degli elettori di quelle città.
Il politologo Salvatore Vassallo, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, dice: "Il risultato, come è capitato spesso in questo ventennio, è stato in larga parte determinato dalla risacca dell’astensionismo che ha riguardato in maniera asimmetrica una parte rispetto all’altra. Da una analisi accurata dei dati territoriali intra-urbani si capirà meglio quali componenti sociali hanno ‘tradito’ di più Meloni e Salvini, che hanno puntato su candidati deboli, ma il presunto ‘super-astensionismo’ delle periferie, andate in passato a destra, mi pare solo una congettura". "La vittoria del centrosinistra – ammonisce Vassallo – pur essendo stata superiore alle attese non ha avuto dimensioni ‘mai viste’, ma, anzi, abbastanza simili a quelle a cui eravamo abituati, a fasi alterne, nel ventennio bipolare, e che si erano viste, proprio a vantaggio del centrosinistra, prima dell’avvento dei populismi (2013-2018)".
A metterla giù in numeri assoluti, poi, la cosa fa impressione anche riguardo alle elezioni politiche. Anno 1948, prime elezioni del primo Parlamento dell’età repubblicana: 92,23% di votanti. Elezioni politiche del 2018, XVII legislatura: 72,94%. Certo, nel ’48 si votava per la scelta storica tra la Dc e le sinistre, ma il crollo di votanti è pesante. Inoltre, mentre nella Prima Repubblica il tasso di partecipazione al voto era stabile, al 90%, e il tasso di astensionismo non superava il 7-10%, a partire dalla nascita della Seconda Repubblica, esplode. Dal 12,65% del 1992, il partito degli astenuti sale in modo inesorabile fino al 27,07% del 2018. Milioni di elettori in fuga, tutti a casa.
Sul tema dell’astensionismo, il capogruppo di LeU alla Camera, Federico Fornaro, ha scritto un libro accurato, "Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi". E spiega: "Vivevamo in un sistema bloccato con i partiti che fidelizzavano gli elettori. Con tassi di partecipazione al voto del 90% e più eravano il terzo Paese al mondo per numero di votanti. La cesura arriva con il crollo del sistema dei partiti, dopo il 1992. Non andare a votare non vuol dire più ‘tradire’ la propria ‘chiesa’. I partiti non fidelizzano più gli elettori e la partecipazione al voto scende all’83-85%. Nel 2013, però, arriva la tempesta perfetta: si scende ancora, ci si ferma al 75%". Fornaro ha ‘inventato’ lo schema 40-40-20: "C’è un 40% di elettori fedeli, che resiste, un 20% di astenuti ormai cronici, e un 40% di elettori, o di astenuti, intermittenti, che decide di volta in volta e solo negli ultimi 10 giorni prima del voto. Non sono affatto tutti di centrodestra e le elezioni le vinci solo se li conquisti".