Giovedì 25 Aprile 2024

Fuga dalle urne (anche dei ceti medi). "Il conto lo paga sempre la destra"

Il politologo Vassallo: "Negli ultimi 20 anni affluenze scarse hanno favorito le coalizioni di centrosinistra"

Le operazioni di voto per il ballottaggio alle elezioni amministrative (Ansa)

Le operazioni di voto per il ballottaggio alle elezioni amministrative (Ansa)

Roma, 20 ottobre 2021 - Periferie abbandonate dai votanti prima ancora che dai candidati a sindaco. Ceti medi che si dimostrano, in città come Milano, persino loro, riluttanti a recarsi ai seggi. Dotte analisi di allarme sul crollo della partecipazione al voto. Alle ultime elezioni comunali, quelle del 3-4 ottobre, si è raggiunto il minimo storico assoluto dell’affluenza: 54,7% contro il 61,6% di cinque anni fa, al primo turno. Ancora più in basso, il voto, ai ballottaggi (44%). Dati, è ovvio, non comparabili tra loro, ma solo città per città, eppure simili ovunque. Un disastro. E sindaci che sono risultati eletti, dappertutto, dal 20-25%, se va bene, degli elettori di quelle città.

Il politologo Salvatore Vassallo, professore di Scienza politica all’Università di Bologna, dice: "Il risultato, come è capitato spesso in questo ventennio, è stato in larga parte determinato dalla risacca dell’astensionismo che ha riguardato in maniera asimmetrica una parte rispetto all’altra. Da una analisi accurata dei dati territoriali intra-urbani si capirà meglio quali componenti sociali hanno ‘tradito’ di più Meloni e Salvini, che hanno puntato su candidati deboli, ma il presunto ‘super-astensionismo’ delle periferie, andate in passato a destra, mi pare solo una congettura". "La vittoria del centrosinistra – ammonisce Vassallo – pur essendo stata superiore alle attese non ha avuto dimensioni ‘mai viste’, ma, anzi, abbastanza simili a quelle a cui eravamo abituati, a fasi alterne, nel ventennio bipolare, e che si erano viste, proprio a vantaggio del centrosinistra, prima dell’avvento dei populismi (2013-2018)".

A metterla giù in numeri assoluti, poi, la cosa fa impressione anche riguardo alle elezioni politiche. Anno 1948, prime elezioni del primo Parlamento dell’età repubblicana: 92,23% di votanti. Elezioni politiche del 2018, XVII legislatura: 72,94%. Certo, nel ’48 si votava per la scelta storica tra la Dc e le sinistre, ma il crollo di votanti è pesante. Inoltre, mentre nella Prima Repubblica il tasso di partecipazione al voto era stabile, al 90%, e il tasso di astensionismo non superava il 7-10%, a partire dalla nascita della Seconda Repubblica, esplode. Dal 12,65% del 1992, il partito degli astenuti sale in modo inesorabile fino al 27,07% del 2018. Milioni di elettori in fuga, tutti a casa.

Sul tema dell’astensionismo, il capogruppo di LeU alla Camera, Federico Fornaro, ha scritto un libro accurato, "Fuga dalle urne. Astensionismo e partecipazione elettorale in Italia dal 1861 a oggi". E spiega: "Vivevamo in un sistema bloccato con i partiti che fidelizzavano gli elettori. Con tassi di partecipazione al voto del 90% e più eravano il terzo Paese al mondo per numero di votanti. La cesura arriva con il crollo del sistema dei partiti, dopo il 1992. Non andare a votare non vuol dire più ‘tradire’ la propria ‘chiesa’. I partiti non fidelizzano più gli elettori e la partecipazione al voto scende all’83-85%. Nel 2013, però, arriva la tempesta perfetta: si scende ancora, ci si ferma al 75%". Fornaro ha ‘inventato’ lo schema 40-40-20: "C’è un 40% di elettori fedeli, che resiste, un 20% di astenuti ormai cronici, e un 40% di elettori, o di astenuti, intermittenti, che decide di volta in volta e solo negli ultimi 10 giorni prima del voto. Non sono affatto tutti di centrodestra e le elezioni le vinci solo se li conquisti".