Fuga dall’Africa L’Italia non può restare sola

Gabriele

Canè

Nelle notti più limpide c’è solo una striscia di terra che si scorge all’orizzonte dai dammusi di Pantelleria: è la Tunisia. A Lampedusa si vede la tv tunisina, in Africa guardano Rai e Mediaset. Noi li vediamo, loro ci vedono. Laggiù c’è fame, speranza, nessuno li scoraggia, il mare è piatto, e continuano a tentare la fortuna sui barconi. Ne stanno partendo a migliaia dalle coste africane, e quelli che non sbarcano vengono soccorsi al largo dalla Guardia costiera o dalle Ong in servizio permanente effettivo. A Madrid sono meno accoglienti.

Nella enclave di Melilla, sulla costa marocchina, ci sono muri alti e fili spinati su cui due giorni fa hanno lasciato la vita una quarantina di migranti in un disperato assalto di massa. Agghiacciante. Così, mentre il mondo vive nuove emergenze dal Covid alla guerra, all’inflazione, mentre vediamo arrivare le donne e i bambini in fuga dall’Ucraina, capita di "dimenticare" che l’altro mondo, quello degli sbarchi, appunto, continua a esistere. Eccome. Anzi, sembra giovarsi della "distrazione" offerta da altri problemi, da altre emergenze che declassano questo flusso continuo, massiccio, a ultimi flash nei telegiornali. Come se dalle coste africane ora nessuno si muovesse, e l’attesa fosse solo per l’ondata migratoria prevista nei prossimi mesi per il blocco del grano ucraino.

Una tragedia annunciata, che sarebbe grave lasciare solo sulle spalle degli stati frontalieri: Italia, Spagna e Grecia in particolare. Sappiamo bene come fino ad ora il programma di redistribuzione negli altri paesi europei sia stato un flop. Quasi una provocazione. Ma nella situazione in cui siamo bisognerà spiegare rapidamente e con forza ai nostri partner che da soli questa volta non possiamo farcela. Che l’Europa dei Pnrr e della solidarietà all’Ucraina, deve essere solidale anche con chi è in prima linea sull’immigrazione. Con l’Italia che ha sempre accolto tutti. Tanti. Senza muri e fili spinati.