Fontana presidente L’ira del Pd Ma stavolta la maggioranza regge

Le opposizioni si dividono e ogni formazione decide di votare un proprio candidato

di Ettore Maria Colombo

Manco è arrivata l’ora di pranzo e già il deputato e vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, viene eletto presidente della Camera dei deputati: 222 i voti a favore per lui su 392 votanti (plenum: 400). Tranne alcune defezioni, una quindicina (il pieno del centrodestra fa 237), i deputati della coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati) lo hanno votato in modo compatto. Oltre a Fontana prendono voti Maria Cecilia Guerra (Pd, 77 voti), Cafiero De Raho (M5s, 52 voti) e Matteo Richetti (Azione, 22 voti). Le opposizioni, cioè, si dividono in tre. L’applauso, ma solo della maggioranza, arriva a spoglio in corso. È la quarta votazione (le altre tre, andate a buca, si sono tenute il giorno prima) quando l’ex ministro, noto per le sue posizioni anti Lgbt, antiabortista, cattolico tradizionalista, filo-putiniano, etc., supera l’asticella del quorum.

Il neo-presidente, che poi sale al Colle per essere ricevuto dal Capo dello Stato, ha messo su l’abito buono (un completo blu elettrico, ministeriale), tiene un discorso il più possibile ecumenico (cita Papa Francesco, san Tommaso d’Aquino, il beato Carlo Acutis), si tiene assai alla larga dallo scottante (per lui) tema dei diritti civili, ringrazia Umberto Bossi, "senza il quale non avrei mai fatto politica". Vira sull’orgoglio "italiano", senza dimenticare il tema delle autonomie care alla Lega. Parla di necessità di "non omologazione", di minoranze "da tutelare", ma pensa soprattutto, citando gli ultimi, ai "disabili e alle loro famiglie", tema a lui caro.

Certo, qualcuno, nella Lega, sospira: "Riccardo (Molinari, che resterà capogruppo della Lega, ndr) sarebbe stato perfetto: preparato, solido, autonomo e pure antifascista", dicono i leghisti che ancora mal sopportano l’esondazione dei Fratelli d’Italia, arrivati in massa. Ma Molinari paga l’eccessiva autonomia da Salvini, forse persino il suo antifascismo, il fatto di non essere un tradizionalista cattolico.

In ogni caso, cosa fatta, capo ha. Politicamente, dopo il grande baillamme del giorno precedente, al Senato, Silvio Berlusconi, fa il beau geste: convoglia i suoi su Fontana, lanciando però un avvertimento alla Meloni): "Votiamo Fontana per non sprecare altro tempo, ma da noi devono passare. Giorgia non può mica pensare di andare avanti con i voti dell’opposizione". Il clima, cioè, resta quel che è, pessimo. Morale, il governo resta ancora tutto in alto mare.

E le opposizioni? Divise, rissose, si guardano con sospetto, manco si salutano. Ognuno (Partito democratico, Movimento 5 stelle, Azione-Italia Viva) si vota il suo candidato. Quella del Pd, che prende pure i voti di Verdi-SI, è Maria Cecilia Guerra, che manco è dem, ma di Art. 1.

Il Terzo Polo va su Matteo Richetti. I contiani puntano su Cafiero De Raho. Tutti voti dispersi, inutili. Ma il Pd una ne fa e cento ne pensa. Lancia Alessandro Zan, alfiere del ddl omonimo, alla carica di vicepresidente. "Tanto vale che eleggiamo la Schlein segretario e chiudiamo bottega" quasi urla un catto-democrat.

Lui, Zan, si dice pronto per l’alto incarico e, con la deputata più giovane d’Italia, Rachele Scarpa, srotola uno striscione pro-diritti civili. I deputati dem seduti sotto, li guardano strano. Sipario.