Valerio Baroncini Nel fango c’è la resistenza. Il coraggio di ripartire dopo la tragedia (annunciata) è una pietrata anche sulla rabbia. I marchigiani non si piangono addosso, non usano convenevoli. Cadono, si rialzano, costruiscono. Cadono di nuovo e sono ancora in piedi, già lì a (ri)costruire: guardando avanti, senza dimenticare chi però è rimasto indietro. Mettete in fila il terremoto del ’97, che da Assisi arrivò a squassare Camerino – e quello di sei anni fa, con i paesi distrutti e le famiglie spezzate, nell’asse Amatrice-Norcia-Visso. E poi i disastri idrogeologici: dall’alluvione del 2014 che non ci ha insegnato nulla fino alla notte di ieri, una notte di terrore dove la morte non ha bussato, ma ha inghiottito in un istante ragazzi e genitori, nonni e bambine. Torna alla mente Paolo Volponi, un grande figlio di questa terra, quando scriveva che "La notte è più della morte" perché "è il sogno l’abisso che non si colma, la caduta dell’imprendibile sorte". Cantiano, nel Pesarese, è devastata: uno tsunami. Sorte imprendibile. Ma ieri mattina, con il sole già in faccia, l’abisso si colma: un plotoncino di eroi rimette in moto un paese. Vanghe, spazzole, carriole, camion, idrovore. Qualcuno rientra nelle case già nel pomeriggio. Stesse scene a Ostra o a Barbara. E a Senigallia, anche se l’acqua s’è mangiata ponti, case, storie. Non i sogni. Non è un romanzo di teste chinate, ma di teste basse perché al lavoro. Dallo Stato arrivano cinque milioni di euro, ma il tema è strutturale. C’è una fierezza marchigiana fatta di entropia che pulsa su una natura così generosa (le colline, le montagne, i borghi, le grotte, il mare) eppure a volte tanto matrigna. Ma c’è un bisogno altrettanto imponente di programmazione e organizzazione, di prevenzione e visione, senza cadere nelle strettoie dello spoil system e delle promesse elettorali.