Mercoledì 24 Aprile 2024

Fine dell’incubo, l’Italia s’è desta E il Tricolore invade le piazze rinate

Nel marzo del 2020 la bandiera e l’inno di Mameli sui balconi erano simboli di resistenza alla pandemia. Dopo oltre un anno gli azzurri di Mancini accompagnano il risveglio del Paese. Esplode la voglia di vita

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di Viviana Ponchia

Le bandiere sono le stesse. La musica anche. E il cerchio si chiude. Dal primo Dpcm che ci confinava in casa al rigore di Jorginho che riporta tutti in piazza. Dall’esorcismo collettivo sui balconi alla catarsi: per i greci rito magico di purificazione, per la psicanalisi liberazione dal trauma. Marzo 2020-luglio 2021. Laggiù, all’inizio del tempo sospeso, il tricolore e l’inno di Mameli furono strumenti di resistenza collettiva. Li ritroviamo in fondo al tunnel e a quelli ci aggrappiamo, confidando che sia veramente il fondo. Non c’è una regia, è venuto spontaneo. Parlare per simboli porta a capirsi al volo. E un pallone che entra in rete nel punto più basso della speranza non ha bisogno di tante spiegazioni. Fratelli d’Italia. Gira in questi giorni una facezia: se lo cantiamo così bene è perché ci siamo allenati tanto sul terrazzo.

Ricordate quel reclutamento in chat nella prima settimana del marzo di un anno fa? "Alle 18 in punto tutti prenderanno il loro strumento e si metteranno a suonare dalla finestra. Il nostro Paese diventerà un gigantesco concerto gratuito. Diffondete il più possibile". La prendemmo sul serio. Pentole, trombette, tammurriate. E soprattutto "stringiamoci a coorte", il mantra che rimbalzava dai grattacieli alle case popolari e che oggi manda in visibilio gli americani quando esce dalla bocca di Chiellini. Ma quanto sono bravi gli Azzurri, quanta passione. C’è effettivamente del talento (a fare casino non ci batte nessuno) ma appunto ci vuole allenamento. E quella predisposizione alla sineddoche che torna utile nei momenti difficili: se vincono in undici figurarsi in sessanta milioni. Dopo un anno e quattro mesi ad altissima tensione in Italia poteva finire solo così per riuscire a illudersi di finire bene. Uno stadio quasi pieno, il sudore, gli abbracci. Come se non fosse successo niente, almeno per una notte, arrivando a considerare segnale di complicità e buon auspicio persino l’eruzione dell’Etna. Allenamento.

Venerdì 20 marzo 2020 alle 11 le radio italiane spararono in contemporanea l’inno di Mameli seguito da Azzurro, La Canzone del Sole e Volare. Il nostro Dna in modalità incantesimo riempì l’etere mentre 70 navi della Marina suonavano le sirene in faccia alla pandemia. Allegria da naufraghi, forse, ma l’alternativa era nascondersi sotto al divano. La primavera del 2020 ha colpito gli italiani anche nei luoghi comuni impedendo per la prima volta il bacio, l’abbraccio, la stretta di mano. Corpo, emozione. Tutto negato. A noi che siamo i giamburrasca d’Europa, costretti improvvisamente a rigare dritto e a guardare la nonna dietro al cellophane. Ci siamo arresi all’ammiccamento a distanza, al namastè, all’obbedienza. Non che per gli altri sia stato facile. Ma gli italiani zitti e buoni in coda davanti al supermercato è fenomeno contro natura, antropologia da ripensare alla luce della pazienza in dad e in smartworking. E vuoi che adesso non prendano come un’assoluzione la parata di Donnarumma, che non tornino al "tuca tuca" con i loro nuovi muscoli di umanità messi su impastando il pane. Sul balcone conserviamo tutti fiori e tavolini perché non si sa mai.

Però ormai siamo fuori. Perché la spinta alla vita, come osserva lo psicanalista Massimo Recalcati, non è solo fatto economico ma pura esigenza fisica di tornare all’aperto, necessità di accorciare le distanze. Dicevamo: andrà tutto bene. Siamo gente di parola.