Giovedì 25 Aprile 2024

Finali perse e avventurieri Poi con lui la svolta storica

Finisce un incubo dopo 110 anni: la serie A non è più un tabù per i brianzoli. Dai fallimenti del club al presidente anglo-brasiliano che pagò un solo stipendio

di Dario Crippa

C’è un vecchio film con Renato Pozzetto (“Agenzia Riccardo Finzi… praticamente detective”), nel quale il protagonista pronuncia una battuta destinata a restare nella testa dei brianzoli: "Io sono del Monza, non riusciremo mai a venire in serie A". Nella curva del Monza ci hanno fatto uno striscione e prima delle partite viene trasmesso il sonoro di quella scena. Perché a Monza sono sempre stati convinti di essere nati sotto una cattiva stella. La serie A sfiorata 8 volte. Un mucchio di finali perse. Negli anni Settanta il Monza più bello, soprannominato il Borussia della Brianza, manca la promozione in A per volte di fila. L’ultima nel 1979, in uno spareggio col Pescara. Campo neutro a Bologna. Davanti a 30mila tifosi arrivati dall’Abruzzo contro i mille dalla Brianza, il Monza si squaglia e perde, autogol compreso. "Come essere andati a Roma senza vedere il Papa" ricorda sconsolato l’allenatore Alfredo Magni. Galliani è un giovane dirigente di quel Monza. Ma gli episodi che raccontano la storia, a tratti maledetta, del Monza sono parecchi. Nato nel 1912 in una pasticceria, si ritroverà a mettere a segno un record: 40 campionati di serie B, ma nessuna promozione, appunto. Si va per la prima volta in Tv per un anticipo del sabato: l’esperimento viene fatto nel ‘55. Il presidente Gino Alfonso Sada, inventore delle scatolette di carne in scatola Simmenthal, prende solo 700mila lire e la gente mugugna. Guarda la partita al bar, disertando lo stadio. Tanti giocatori destinati a entrare negli almanacchi (Claudio Sala, Daniele Massaro, Gigi Casiraghi, etc), allenatori di prim’ordine (Annibale Frossi e Gigi Radice, piuttosto che Nils Liedholm, che gigioneggiava: "La salvezza col Monza? Meglio dei miei scudetti"). Si sperimentano le prime magliette col nome dei giocatori sulle spalle ma arriva il multone: non erano autorizzate. Si costruisce uno stadio nuovo di zecca per la A, che però non arriva, gli spalti si svuotano e inizia il declino con un altro record: due fallimenti. Sul primo circolano leggende: giocatori stranieri finiti a dormire nel sottoscala dello stadio. Il secondo fallimento ha del clamoroso. L’ex campione Clarence Seedorf, dopo tre anni da presidente ombra del Monza, in cui prova a far giocare con scarse fortune persino fratello e cugino, vende la società per un dollaro a un misterioso imprenditore anglo-brasiliano. Si chiama Anthony Emery Armstrong, si presenta in Ferrari e promette mare e monti. Acquista giocatori di valore, obiettivo la promozione. Ma paga solo mezzo stipendio, la Ferrari era stata presa a noleggio e il bluff esplode quando il finto magnate finisce sulla lista dei ricercati della polizia brasiliana per una maxi truffa. E fugge a Dubai. I giocatori forti intanto si sono svincolati, gli altri vengono sfamati a volte dagli ultras. Alla fine, la finale playout è l’unica possibilità per salvarsi. Il Monza eroicamente stravince, ma dopo qualche giorno fallisce.

Arrivano Berlusconi e Galliani. Spendono parecchio, allo stadio cominciano dall’ascensore: per trent’anni c’era stato solo il buco.