Venerdì 19 Aprile 2024

Film per adulti nell’Italia perbenista L’epopea dei cinema a luci rosse

È morto De Pedys, il primo a proiettare pellicole porno in Italia. Un’era chiusa prima dalle videocassette, poi dal web

di Piero

Degli Antoni

MILANO

Si è spenta la luce (rossa) per Luigi De Pedys, l’uomo che per primo portò il cinema porno in Italia.

Forse non una virtù che merita un cavalierato, ma in qualche modo contribuì a far fare all’Italia un passo avanti (oppure indietro, a seconda dei punti di vista) sulla strada della liberazione sessuale.

Nel novembre del 1977, con un metaforico ribaltamento di prospettiva, convertì il Majestic, zona Porta Venezia, fino ad allora dedicata ai film per bambini, nella prima sala dove si proiettavano film dichiaratamente pornografici, presto imitato da una selva di gestori in tutta Italia (piccola nota, il termine a luci rosse si riferisce al lampeggiante, preso da un camion distrutto dei vigili del fuoco, che metteva sul chi va là chiunque si fosse azzardato, ignaro, ad avvicinare la porta d’entrata – mentre un cartello avvertiva il tipo di proiezione in atto).

Nel 1982 si contavano ben 125 sale destinate a questo tipo di programmazione.

Non è durata molto, l’epopea dei cinema porno: estinta a partire dalla metà degli anni Novanta dall’avvento delle videocassette e poi, in modo ancora più travolgente, di internet.

Morta e sepolta.

Benché l’oggetto non sia dei più edificanti, oggi possiamo ricordare, anche con un velo di nostalgia, quelle sale ombrose, recondite, circonfuse da un alone di mistero maledetto che nelle loro cavità perennemente immerse in una penombra peccaminosa dischiudevano tesori di dionisiaca lussuria.

Gli spettatori trotterellavano apparentemente svagati davanti all’ingresso, in attesa del momento buono, cioè quando la strada era deserta, per sgattaiolare all’interno.

Mentre oggi il consumo di pornografia è strettamente privato, con l’erotomane barricato in casa in un’apoteosi di solipsismo sessuale, allora il cinema costringeva a condividere la passione coi propri simili, in un’atmosfera di clandestino libertinaggio, una minuscola, gioiosa repubblica indipendente fondata sulla libidine.

Le sale cercavano di non dare troppo nell’occhio, con locandine minuscole, o con aperture carsiche (al mattino o al pomeriggio film porno per dare sollievo a plotoni di pensionati o a giovani studentelli che avevano marinato – alla sera con pellicole normali), oppure con semplici avvisi: ‘Si proiettano film per adulti’.

Giovani e anziani, soprattutto: i primi a ricordare antichi ardori, i secondi ad apprendere i fondamentali del settore, in un’epoca in cui l’educazione sessuale a scuola non era ancora contemplata.

La fantasia di produttori e di distributori, in questo particolare campo rivelava una genialità degna senza alcun dubbio di miglior causa: da 007 e i servizietti segreti ad Ali Babà e i 40 guardoni, da Fronte del porco a Il glande freddo, il porno cercava di riscattare la propria aura mefistofelica con una sbarazzina giocosità.

Malvisti dai benpensanti, che poi magari li frequentavano anonimamente, osteggiate dalle cerchie clericali, le sale comunque sopravvissero fortunosamente all’indignazione perbenista, con un’unica vittima condannata al rogo: Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, che col porno non c’entrava proprio niente.

Figli di un’epoca perduta, insieme ai gettoni telefonici, alle vecchie cabine, ai fax e alle Prinz Nsu, i cinema pornografici hanno perso l’alone esecrabile per guadagnare la simpatia che spesse volte il tempo regala anche agli amici più gaglioffi.