Giovedì 18 Aprile 2024

Il principe Filippo a Carlo: occupati di mamma. Sul letto di morte siamo tutti uguali

L’incontro col primogenito: "Non portarmi in ospedale. Abbi cura della famiglia, pensa ai tuoi fratelli". Sono le stesse preoccupazioni di ogni essere umano nel momento finale, del re come dell’ultimo suddito

Il principe Filippo con il figlio Carlo e il nipote Harry

Il principe Filippo con il figlio Carlo e il nipote Harry

Il Principe Filippo, come un povero diavolo qualsiasi, in punto di morte si raccomanda al figlio Carlo. E gli chiede di tenere un occhio di attenzione speciale alla famiglia. È ovvio che trattandosi della famiglia reale questo coincide in parte con il destino dell’Inghilterra. E le turbolenze in quella famiglia, come si è visto recentemente, hanno ripercussioni mondiali che evidentemente non riguardano solo il gossip. Resta il fatto che il Principe, ammirato dai sudditi e anche – si è scoperto con la morte – in tutto il mondo come una figura dignitosa e discreta, ha parlato infine in modo simile a qualsiasi padre di famiglia.

Fissata la data dei funerali: Hanry ci sarà, Meghan no

Anche il padre morente in uno slums di Caracas o di Lagos, ha la stessa preoccupazione. Forse i Principi non sono solo come nelle favole. Hanno un cuore che in fondo trema delle stesse trepidazioni di un uomo qualsiasi. Filippo ha anche chiesto, sentendosi prossimo alla fine, di potersi spegnere a casa. Come è stato e come chiederebbero tanti di noi. Se non tutti. Viviamo un’epoca che se da un lato esalta a parole un certo egualitarismo, un umanitarismo spesso facile, che rischia di leggere superficialmente anche un’enciclica dal titolo fortissimo come ’Fratelli tutti’ di papa Francesco, dall’altro lato sembra inchiodare le persone ai propri ruoli. O, come si dice oggi, alle proprie identità. Che poi tale identità sia definita a partire dal sesso, dal lavoro che si fa, dai gusti, dalle tendenze politiche, dal colore della pelle o da altre cose, non conta, ma l’effetto è simile. Siamo profilati, siamo identificati, siamo schedati. E il cuore? E ciò che veramente ci fa tremare? Forse è a questo livello e non per una banale e superficiale eliminazione delle diversità che si individua il nucleo della comune umanità.

Un principe resta un principe, ha vissuto in magnifici castelli e goduto di agi inimmaginabili per il 99% degli umani. È un principe e resta differente da un povero diavolo che deve tirare avanti la carretta. Così come un nero è diverso da un bianco per quel che riguarda il colore della pelle e in molti casi per la cultura di riferimento. E un cristiano è differente da un islamico e una donna da un uomo. Non è piallando le differenze in nome del potere e delle ideologie che si attua una visione comune dell’umanità. Ma sondandone il cuore, l’anima, vedendo per cosa trema e per cosa spera.

I grandi saggi dell’umanità non sono mai stati amanti del neutro e dell’indifferenziato, ma hanno illuminato per tutti il livello a cui guardare dentro le persone per intendere l’uguale valore e le simili speranze. In questo senso, il messaggio del mite e discreto principe Filippo a suo figlio brucia per così dire le differenze, o meglio le attraversa tutte senza eliminarle. La generazione di un figlio, infatti, porta chiunque dinanzi a un abisso. Sa bene, madre o padre che sia, che il destino delle creature più generosamente amate, più sperdutamente amate, non è nelle proprie mani. Chiunque ama davvero lo sa, mentre fissa il figlio, la moglie, l’amante o l’amico.

Io posso fare di tutto per starti vicino, aiutarti e sostenerti, ma il tuo destino e la tua speranza non dipendono da me. La vita è un mistero e una contesa inifinita. Nel momento in cui stava per morire il Principe, al pari di qualsiasi povero amante, di qualsiasi madre in qualunque parte del mondo, in una capanna, in un condominio o in un castello, ha tremato di uguale tremore. Ha confidato la medesima mendicanza. Ha sperimentato la medesima necessità di affidare la cura delle cose più care a qualcun altro. Si tratta della verità più nuda, profonda e comune sull’essere umani. Non siamo padroni del destino. E possiamo decidere se affogare nell’ira, o con stile e dedizione affidarci.