Mercoledì 24 Aprile 2024

Fiducia ok, il governo Draghi dispiega le vele Tutti applaudono ma l’incognita è la durata

Superato l’ultimo scoglio alla Camera, il premier ripercorre gli obiettivi dell’esecutivo. E c’è chi tra un anno lo vorrebbe al Quirinale

di Antonella Coppari

Il governo Draghi nasce con numeri "quasi" da record: 535 deputati favorevoli, 56 contrari e 5 che si astengono. Colpa dei grillini se la medaglia d’oro resta a Monti: l’area del dissenso pentastellata a Montecitorio tocca quota trenta. Sedici votano no, 4 si astengono e 12 non si presentano (2 gli assenti giustificati). Tolti loro, Fd’I e il leghista Vinci che, a sorpresa, mostra il pollice verso e si trasferisce nel partito della Meloni, tutti gli altri remano nella stessa direzione. Quella indicata da Mario Draghi che, poco prima di incassare la fiducia, passa telegraficamente in rassegna i capitoli sui quali non si era pronunciato mercoledì: dalle piccole imprese alla giustizia penale.

Cambia mascherina, ne indossa una blu con il logo della presidenza del Consiglio, ma non stile. Va subito alla sostanza: bisogna combattere la corruzione e le mafie, garantendo un processo "giusto e di durata ragionevole", nel rispetto della Costituzione. In ballo ci sono i soldi del Recovery plan e degli investitori stranieri, ma c’è anche la fiducia dei cittadini da riconquistare. Strappa così una ’ola’ all’emiciclo, che l’applaude pure quando spiega che aiuterà le Pmi a ripartire, che c’è da affrontare la questione del sovraffollamento delle carceri e che lo sport "è un patrimonio da sostenere". La standing ovation arriva alla fine: "Spero condividiate questo sguardo costantemente rivolto al futuro che confido ispiri lo sforzo comune verso il superamento di questa emergenza sanitaria e della crisi economica e che caratterizzerà l’azione dell’esecutivo". Sipario.

E voto. Era atteso con una certa suspense: non per l’esito scontato, ma per il numero dei dissidenti 5 Stelle. Una ribellione a Montecitorio così numerosa incide poco, ma inevitabilmente si riflette sul Senato, dove le cose stanno diversamente. Con le defezioni di 21 grillini e di due esponenti di Leu, il cartello composto da Pd, M5S e sinistra arriva a quota 110, Lega e Forza Italia a 115. La destra cioè lì avrebbe la golden share.

Tant’è: il governo ora può partire. Le tensioni ci saranno ma le operazioni per sminare la strada sono in corso come dimostra l’annuncio del capogruppo leghista Molinari: "Non pretendiamo la proroga di quota 100". Sulla sua durata, però, non c’è certezza. Nelle consultazioni Draghi ha assicurato che non si tratta di un governo a termine. Eppure tutti sono convinti che, dopo aver ricevuto come premier l’appoggio di una simile maggioranza, l’ex presidente della Bce debba essere considerato in pectore il prossimo capo dello Stato. In tal caso l’attività del governo si restringerebbe a un anno in cui Draghi cercherebbe di incardinare le riforme. Qualunque sia la durata del viaggio, la domanda di fondo non cambia: sarà una parentesi, chiusa la quale, le forze in campo si ritroveranno nella stessa disposizione odierna oppure il percorso di questa maggioranza è destinato a cambiare tutto?

Le varianti sono numerose. A destra la tenuta della coalizione sembra probabile: Giorgia Meloni conferma l’intenzione di dar vita a una opposizione se non amichevole, quasi. Tale cioè da non incrinare i rapporti con gli alleati che hanno fatto una scelta opposta. "Vigileremo che lei faccia whatever it takes per l’Italia" dice al premier.

Dopo la mossa di Salvini che ha spostato l’asse della coalizione verso il centro, diventa remota la possibilità che FI si posizioni con la galassia moderata. Diverso il discorso sull’altro fronte dove Renzi farà di tutto per spezzare l’intesa M5s-Pd. Che Grillo, al contrario, è determinato a tenere insieme, anche a costo di pagare prezzi altissimi come quella scissione che ha incentivato per "liberarsi dei rami secchi" e blindare l’alleanza con Zingaretti. È nel Pd che il quadro è instabile: il segretario sposa l’intesa, però al Nazareno la tentazione di denunciare l’accordo con M5s per guardare i al centro è diffusa. In parte l’esito del braccio di ferro dipenderà dalle amministrative, dalla riforma elettorale, dagli imprevisti che il governo si troverà di fronte. In parte dalla scelta di Conte che non ha ancora deciso se muoversi subito, con il rischio di logorarsi, o aspettare sfidando il pericolo di essere dimenticato.