
Senigallia (Ancona), 9 settembre 2023 – È stata una lontana parente, qualche giorno dopo quel 3 ottobre 2007, a informare Carmelo Calì che sua cugina Marianna Manduca era stata uccisa a coltellate dal marito Saverio Nolfo nonostante lo avesse denunciato 12 volte. Carmelo era il parente più prossimo e insieme con la moglie Paola Giulianelli non si è tirato indietro e in quattro ore ha ottenuto l’affido di Carmelo, 22 anni, Stefano 18 e Salvatore 21 anni, i tre orfani di Marianna. Da allora non si è mai dato per vinto e nel 2017 ha vinto la causa contro lo Stato e ottenuto un risarcimento di 259mila euro, ma la battaglia non si è conclusa: è dovuto arrivare alla Cassazione e poi ad un accordo extragiudiziale che gli ha consentito di ottenere un risarcimento.
Signor Calì, a distanza di 16 anni cosa è cambiato riguardo alla violenza di genere?
"Nella sostanza nulla, il Codice Rosso non ha funzionato, da inizio anno a oggi sono 80 gli omicidi nei confronti di donne, è inutile inasprire le pene, serve più attenzione".
La vostra è stata una scelta difficile quanto impegnativa.
"Una scelta che abbiamo fatto in quattro ore, ci hanno chiamato, dovevamo decidere, i tempi erano strettissimi, ma non abbiamo esitato un attimo".
Come è stato affrontato l’accaduto?
"Con un supporto psicologico, ma a differenza dei servizi sociali, negli psicologi non abbiamo trovato sempre persone preparate per affrontare problematiche come la nostra. Purtroppo non esiste un vero e proprio percorso che consente agli orfani di affrontare un evento tragico come un femminicidio, noi in parte ce lo siamo costruito". Con sei figli, sarà stata difficile anche dal punto di vista economico.
"Naturalmente, anche perché non c’è un vero e proprio percorso, lo abbiamo costruito noi, con le nostre forze, con i sacrifici. I ragazzi sono stati molto bravi, anche se non è sempre stato facile far capire loro la situazione. A volte è stata davvero dura, per noi, per loro, tante volte ci siamo chiesti ‘ce la faremo?’, poi io e mia moglie ci siamo guardati negli occhi e abbiamo trovato la forza per andare avanti".
Qual è stato il momento più difficile?
"Per una famiglia il momento più difficile è l’organizzazione, poi per noi è stato un caso particolare: avevamo già tre figli. Inoltre, non è stato facile fare i conti con tutto quello che gira attorno a una famiglia come la nostra".
Per rendere omaggio a Marianna, ma anche per sensibilizzare i più giovani, avete fondato l’Associazione ‘Amici di Marianna’.
"Si, siamo presenti a Palagonia, Frosinone, Senigallia, Palermo e Roma. Lavoriamo nelle scuole, con l’aiuto di psicologi e assistenti sociali. Cerchiamo di spiegare che si può cambiare vita, ci si può, anzi ci si deve ribellare a certi comportamenti, perché una via d’uscita c’è sempre, anche quando ci sembra di non vederla".
Cosa prova quando sente la notizia di un’altra donna uccisa?
"Provo tristezza per una vita spezzata, ma penso al dolore di chi resta e tutto quello che si troverà a dover affrontare un dramma simile. Con i ragazzi preferiamo non affrontare l’argomento, lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle, non ci serve chiedere, cerchiamo di andare oltre anche se sono ferite che non si rimarginano mai".