Martedì 23 Aprile 2024

"Favorì l’immigrazione clandestina" Maxi condanna per il sindaco-icona

Tredici anni e 2 mesi a Mimmo Lucano. La procura ne aveva chiesti meno di otto. Lui: "Vicenda inaudita"

Migration

di Nino Femiani

Quando il presidente del Tribunale di Locri pronuncia la sentenza, nell’aula del tribunale di Locri scende un silenzio che ha il sapore dell’incredulità. Tredici anni e due mesi, una vera mazzata, un risveglio amaro per Mimmo Lucano il "sindaco degli oppressi", come si definiva, l’uomo che a Riace aveva ‘inventato’, a sentire le associazioni del Terzo Settore, un originale modo di fare accoglienza in cui i migranti non sono più un problema ma un’opportunità contro lo spopolamento. Quasi il doppio rispetto alla richiesta della pubblica accusa – il procuratore capo Luigi d’Alessio e il pm Michele Permunian – che aveva invocato la condanna a 7 anni e 11 mesi.

L’ex sindaco, inoltre, dovrà restituire 500 mila euro riguardo i finanziamenti ricevuti dall’Unione europea e dal governo proprio in relazione a quel "modello Riace" che aveva reso il borgo della Locride di duemila abitanti famoso in tutto il mondo. Il sistema messo in piedi da Lucano era stato descritto, infatti, sui giornali come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, ma secondo i giudici del tribunale di Locri nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il vero fine di quell’accoglienza, dice la sentenza di primo grado, era quello di trarre dalle centinaia di migranti arrivati in Calabria – turchi e curdi in particolare – solo uno squallido profitto.

"Questa é una vicenda inaudita. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso. Mi aspettavo un’assoluzione", dice a bassa voce Lucano dopo essersi ripreso dallo choc. "Grazie, comunque, lo stesso – aggiunge l’ex sindaco – ai miei avvocati per il lavoro svolto. Io, tra l’altro, non avrei avuto modo di pagare altri legali, non avendo disponibilità economica". I difensori di Lucano, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, annunciano appello e parlano di "sentenza lunare e di una condanna esorbitante che contrasta totalmente con le evidenze processuali. Siamo attoniti. È difficile comprendere come il Tribunale di Locri non abbia preso nella giusta considerazione quanto emerso nel corso del dibattimento, durato oltre due anni, che aveva evidenziato una realtà dei fatti ben diversa".

In sostanza, i giudici hanno ritenute fondate le accuse formulate dalla Procura di Locri, con un’inchiesta scattata nel 2017 e chiamata "Xenia" (dal greco antico xenos, straniero, ospite) secondo cui Lucano era il promotore di un’associazione a delinquere che commetteva delitti contro la pubblica amministrazione e il patrimonio, orientando l’operato del ministero dell’Interno e della Prefettura di Reggio Calabria al fine di creare e consolidare un sistema di potere strumentalizzando l’integrazione degli stranieri.

Sulla base di intercettazioni telefoniche, la procura lo accusava di avere avuto un ruolo nell’organizzare matrimoni di convenienza tra cittadini calabresi e donne straniere, per favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano. Il pm Permunian era stato duro: "A Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era di creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno, veniva allontanato". Ma cos’era quel modello stracciato e fatto a pezzi dal primo grado? Era un sistema di integrazione e accoglienza "diffusa", messo in campo nel comune della Locride e diventato una sorta di "benchmark" dell’accoglienza tanto da far inserire Lucano, nel 2016, nella lista dei 50 leader più influenti del mondo della rivista Fortune.