ArchiveFascismo & presidenzialismo, campagna elettorale al veleno

Fascismo & presidenzialismo, campagna elettorale al veleno

La condanna del Ventennio la fece già Fini nel 2003. E Berlusconi su Mattarella dice male una cosa vera

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Serra)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Serra)

Visitando lo Yad Vashem di Gerusalemme il 23 novembre 2003, Gianfranco Fini definì le leggi razziali un ‘male assoluto’. I giornali titolarono che il ‘male assoluto’ era il fascismo e Fini non ebbe alcun interesse a precisare la distinzione. In tre video passati alla stampa estera, Giorgia Meloni ha riaffermato la condanna del fascismo "senza ambiguità" ed è quasi una non notizia perché da molto tempo era difficile coglierla in castagna su questo tema. Ha fatto bene comunque a ribadirlo ai giornalisti stranieri, a scanso di equivoci.

Adesso le chiedono di togliere la fiammella dal simbolo del partito e quando anche questo dovesse avvenire (come sollecitato ieri da Liliana Segre) si direbbe che è tardi e che in FdI c’è ancora qualche nostalgico di troppo, nonostante la Meloni da anni abbia minacciato questi signori di tagliargli la lingua. Ma le campagne elettorali da noi sono fatte così.

Berlusconi viene trattato da golpista per aver detto ieri: "Se entrasse in vigore la riforma presidenziale si andrebbe a un’elezione diretta del presidente della Repubblica, Mattarella dovrebbe dimettersi e poi magari potrebbe essere eletto di nuovo lui". Nei commenti, l’ultima parte della frase è stata tagliata. L’osservazione di Berlusconi è intempestiva (la riforma difficilmente sarà la priorità del prossimo Parlamento), forse inopportuna, ma non offensiva. Il problema si porrebbe e sarebbe lo stesso Mattarella ad esserne l’esclusivo, equilibrato gestore. Ammesso che ci fossero i numeri (cosa assai improbabile), una riforma di quel genere, comunque, non dovrebbe essere fatta a colpi di maggioranza, anche se gli italiani sono da sempre favorevoli in larga parte al presidenzialismo o all’elezione diretta del primo ministro.

Nella Bicamerale del ’95, D’Alema aprì a un semipresidenzialismo alla francese, ma pose come condizione una riforma elettorale col doppio turno di collegio (alla francese anche questo) che avrebbe impedito al centrodestra di vincere le elezioni a vita vista la sua tradizionale debolezza nei ballottaggi. È del tutto inelegante, sull’altro fronte, che si sia aperta nel Pd una sorta di anteprima congressuale nella previsione (o nella speranza?) di una pesante sconfitta elettorale del partito.

Letta gioca una partita proibitiva e il galateo politico vorrebbe che il Pd lo sostenesse compatto. Per capire come andranno a finire le elezioni si dovrà aspettare, comunque, almeno la prima settimana di settembre. I sondaggi d’agosto sono da sempre fasulli.

Quanto valgono insieme Calenda e Renzi? Oggi poco, ma potrebbero crescere. Difficilmente al punto di condizionare una eventuale vittoria del centrodestra, più probabilmente per indebolire il fronte progressista nei 232 collegi uninominali (su 600) in cui vince chi prende un voto in più. Adesso che i programmi sono definiti nei tre schieramenti, sarebbe utile confrontarsi e anche accapigliarsi solo su quelli. Ma non ci facciamo illusioni.