Mercoledì 24 Aprile 2024

Fanno gol e nemmeno festeggiano

Giorgio

Comaschi

Se voi faceste un gol, a San Siro, all’ultimo minuto di un derby cosa fareste? Esultereste, braccia al cielo, urlereste di felicità, avreste una faccia stravolta dalla gioia? Presumibile. Almeno logico. E invece i calciatori no e qui subentra la necessità di fare uno studio antropologico, forse psicologico. Il calciatore che fa gol oggi, due volte su tre, esplode in un’espressione di incazzatura pazzesca, di rabbia, in gesti contro qualcosa o qualcuno, con la faccia trasfigurata nel livore più feroce. A volte spara dei vaffa, a volte addirittura bestemmia, prende a calci la bandierina del corner, la divelle, dà calci al palo, tira il pallone in cielo, si toglie la maglia come se gli desse un fastidio tremendo. Insomma, viene da pensare che non sia contento. Ma come? Cosa ti ha fatto di male il gol? Ma il gol non è la sublimazione della felicità, il momento più alto della gioiosità del calcio? Si dovrebbe avere una faccia illuminata e una bocca tirata in un sorriso splendente, no? E invece chi fa gol diventa cupissimo, ce l’ha col mondo, con qualcosa che lo fa imbestialire. Allora se il gol fa quest’effetto, bisogna rivedere i concetti della felicità anche nella vita. "Ma vaaaaai! Ma porc…!, urlano come pazzi con le voci roche, sguaiate. Sarà anche un loro modo di essere felici, ma così a prima vista non sembra proprio. Perché non gioite? È gol! Avete fatto gol! E allora datevi una calmata, state tranquilli, che non è successo mica niente di brutto. A livello di reazioni, i giocatori di calcio sono fenomeni da studiare.

A parte che si copiano le esultanze e replicano subito quelle che vanno di moda. Cullano bimbi, si fanno il gesto di farsi la barba, improvvisano danze classiche, imitano Hulk, fanno girotondi attorno alla bandierina, insomma sono imprevedibili. Altra cosa: quando fanno fallo e l’arbitro li ammonisce, corrono verso di lui eurlando "Ma è il primo!". E sul fatto che il primo fallo è permesso bisogna che ci spieghino il perché.