Faida nel Pd bolognese, l’accusa è "renzismo"

Ricorso al gran giurì interno: la vecchia guardia Pci accusa i dirigenti del partito che sostengono una candidata venuta da Italia Viva

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di Paolo Rosato

Non riesce mai a stare ’sereno’ il Pd quando ha a che fare con Matteo Renzi. E lo stesso segretario nazionale Enrico Letta, che dell’antico scontro politico con il leader di Italia Viva porta ancora i segni, pronti-via si è ritrovato tra le mani l’affaire della scelta dei candidati per le elezioni nei Comuni capoluogo imbevuto di fiele strategico. Da Roma a Napoli, da Torino fino al frontale di Bologna, lo scontro del Pd spesso non è con la destra, per carità, ma con quello che serpeggia attorno e che proviene dall’ex capo di partito odiato a livelli altissimi. Specie quando ha chance di giocarsela.

Capita a Bologna, dove alcuni ex esponenti Pci come Luciano Sita, Gianni Grazia e Mauro Olivi hanno fatto ricorso ai garanti del partito locale, che ieri ha ‘scaricato’ a sua volta sul giurì del Nazareno. Il motivo: chi è del Pd non può sostenere alle primarie del centrosinistra chi non è del Pd, come la candidata Isabella Conti (quello ‘ortodosso’ è Matteo Lepore). Conti ha sì la tessera di Italia Viva, stava nel Pd, ma per correre da indipendente ha lasciato gli incarichi direttivi all’interno di Iv. Nonostante questo, resta ‘accusata’ di un peccato di renzismo originale.

E per questo presunto filo-renzismo sono chiamati in causa assessori e dirigenti Pd che mai hanno sostenuto il rottamatore, ma – in questi giorni – la Conti. Ai ‘vecchi’ big di partito non è andato giù il sostegno alla sindaca di San Lazzaro di pezzi importanti del partito: dagli assessori comunali Alberto Aitini, Virginia Gieri e Marco Lombardo fino al deputato ed ex segretario provinciale Francesco Critelli e all’europarlamentare e politologa Elisabetta Gualmini.

Il ricorso, esaminato ieri dai garanti provinciali, è stato rinviato ai garanti nazionali "per la rilevanza delle questioni poste". Però l’istanza è stata ridimensionata, perché "non c’è nello statuto del Pd una norma che vieta il sostegno a candidati non del partito all’interno delle primarie del centrosinistra". Quel vincolo c’è per le amministrative, ma non per le primarie, il cui spirito resterebbe quello prodiano del confronto, come ricordato recentemente anche da Arturo Parisi. Il Pd si incarta insomma ancora sull’anti-renzismo, dimenticando però che le elezioni andrebbero vinte contro la coalizione di centrodestra: chissà se dopo le primarie resteranno macerie – probabile – o propositi di fratellanza – difficile. Detto di Bologna, dove si vota domenica 20, al voto domani e domenica andrà invece Torino, dove il Pd schiera Stefano Lo Russo e Enzo Lavolta. Lo Russo resta il favorito, ma Lavolta può contare sull’appoggio di Sinistra ecologista. Sette i candidati invece a Roma (anche lì si vota il 20), dove il centrosinistra vuole voltar pagina dopo i cinque anni della pentastellata Virginia Raggi.

"Tutte figure di ottima qualità", li definisce Roberto Gualtieri, parlamentare Pd ed ex ministro dell’Economia. Renzi, anche lì fattore di scontro e irritazione per il Nazareno, appoggia la candidatura di un altro ex dem, Carlo Calenda, leader di Azione. A Milano il Pd ha già deciso per il bis di Beppe Sala, che guarda caso cinque anni fa si candidò da civico con il sostegno di diversi esponenti milanesi dem. Nessun ricorso ci fu allora contro quel tipo di appoggio ’irrituale’, la pregiudiziale anti-renziana non era ancora entrata in circolo. Anche a Napoli per il voto d’autunno i giochi sono fatti, c’è l’ex ministro Gaetano Manfredi.