Giovedì 25 Aprile 2024

Processo ex Ilva: 22 e 20 anni a Fabio e Nicola Riva. Tutte le condanne

La sentenza della Corte d'Assise di Taranto sull'inquinamento ambientale. Tra i condannati anche l'ex governatore Nichi Vendola. Disposta la confisca degli impianti dell'aera a caldo

Processo ex Ilva: la lettura della sentenza della Corte d'Assise di Taranto (Ansa)

Processo ex Ilva: la lettura della sentenza della Corte d'Assise di Taranto (Ansa)

Bari, 31 maggio 2021 - I fratelli Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell'Ilva di Taranto, sono stati condannati, nell'ambito del processo 'Ambiente svenduto' sull'inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurgico, La Corte d'Assise di Taranto ha inflitto loro, rispettivamente, a 22 e 20 anni di carcere oltre ad aver disposto, come chiesto dalla procura, la confisca degli impianti dell'area a caldo dell'impianto per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva.

La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 per Nicola Riva, che rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. 

Fabio Riva (ImagoE)
Fabio Riva (ImagoE)

Ma le condanne non si ferma qui: sono 47 gli imputati (44 persone e tre società) del processo. Tra loro anche l'ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. condannato a 3 anni e mezzo per i reati di concussione aggravata verso i vertici di Arpa Puglia, affinché ammorbidissero la loro posizione verso Ilva. In questo caso o pm avevano chiesto 5 anni. Con lui condannato a 2 anni l'ex direttore generale dell'Agenzia per l'ambiente (Arpa) della Puglia, Giorgio Assennato, accusato di favoreggiamento nei confronti dell'ex governatore. Secondo l'accusa, non avrebbe infatti denunciato le pressioni da parte di Vendola, che lui invece ha sempre negato. Nel suo caso la condanna è stata superiore alla richiesta di un anno dei pm. Assennato era l'unico ad aver rinunciato alla prescrizione

Tre anni (la richiesta era di 4) sono stati inflitti, invece, all'ex presidente della Provincia, Gianni Florido, che risponde di una tentata concussione e di una concussione consumata, reati che avrebbe commesso in concorso con l'ex assessore provinciale all'ambiente Michele Conserva (condannato a 3 anni) e l'ex responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà (condannato a 21 anni e sei mesi). 

Ancora, 21 anni per l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso (la richiesta era 28), 17 anni e sei mesi per l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti. Condannato a 4 anni e mezzo Adolfo Buffo, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, ed attuale direttore generale di Acciaierie d'Italia (società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia). A Buffo, per cui i pm avevano chiesto la condanna a 20 anni, era contestata anche la responsabilità di due incidenti mortali sul lavoro. 

Assolto invece l'ex presidente Ilva, Bruno Ferrante, per il quale l'acusa aveva chiesto 17 anni. Ferrante si era insediato come presidente del cda Ilva a luglio 2012, cioè poche settimane prima del sequestro degli impianti da parte della magistratura. Assolti anche l'ex assessore regionale (e parlamentare di Sel) Nicola Fratoianni e l'attuale assessore regionale pugliese all'Agricoltura Donato Pentassuglia

Gli impianti non si fermeranno

La confisca degli impianti dell'area a caldo dell'ex Ilva di Taranto, disposta oggi dalla Corte d'Assise, non avrà alcun effetto immediato sulla produzione e sull'attività del siderurgico di Taranto. Essa sarà operativa ed efficace solo a valle del giudizio definitivo della Corte di Cassazione, mentre adesso si è solo al primo grado di giudizio. Gli impianti di Taranto, quindi, restano sequestrati ma con facoltà d'uso agli attuali gestori della fabbrica. Gli impianti pugliesi sono infatti ritenuti strategici per l'economia nazionale da una legge del 2012 confermata anche dalla Corte Costituzionale. Per area a caldo si intendono parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie. Da rilevare che nel passaggio degli impianti dall'attuale proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria all'acquirente, cioè la società Acciaierie d'Italia tra ArcelorMittal Italia e Invitalia, è previsto il dissequestro degli impianti come condizione sospensiva. Passaggio per ora collocato entro maggio 2022.

Il sindaco di Taranto

Alla lettura della sentenza era presente anche il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, con la fascia tricolore. "Siamo commossi, per quelli che abbiamo perduto e per quelli che qui ancora si ammalano", ha detto il primo cittadino. Il Comune è una delle parti civili del processo. Per Melucci, "è stata una strage, lunga decenni, per il profitto. Oggi - continua - lo Stato italiano riconosce le sofferenze dei tarantini, riconosce gli abusi che si compiono per l'acciaio, da questo momento nessun esponente di Governo potrà più affermare con leggerezza che a Taranto ci si ammala e si muore di più perché consumiamo troppe merendine o troppe sigarette, oppure perché le nostre statistiche e gli studi prodotti negli anni non sono fondati".

La difesa dei Riva

"Come ammesso dagli stessi periti, sotto la gestione dei Riva, Ilva ha sempre operato e prodotto rispettando tutte le normative vigenti. I Riva hanno costantemente investito ingenti capitali in Ilva al fine di migliorare gli impianti e produrre nel rispetto delle norme", dice invece l'avvocato Luca Perrone, difensore di Fabio Riva, snocciolando le cifre degli investimenti (",5 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi di natura specificatamente ambientale"). L'avvocato Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, fa presente che sotto la presidenza del suo assistito "si sono raggiunti i migliori risultati ambientali della gestione Riva con valori di diossina e benzoapirene bassissimi che si collocano a meno della metà dei limiti consentiti dalla legge"