Evasione alla Rambo: caccia all’uomo nei boschi

Ex bracconiere, in cella per rapina, ha approfittato della visita-permesso sulla tomba della madre ed è scappato. Ricercato da 10 giorni

Massimo Riella era in cella con l’accusa di aver pestato e rapinato due anziani

Massimo Riella era in cella con l’accusa di aver pestato e rapinato due anziani

Gravedona ed Uniti (Como), 21 marzo 2022 - Da dieci giorni, Massimo Riella è l’uomo più invisibile del Comasco. Almeno per le decine di appartenenti alle forze dell’ordine che lo stanno cercando dalla mattina del 12 marzo, quando è riuscito a divincolarsi da cinque agenti di polizia penitenziaria e sparire in mezzo ai rovi. Lo avevano portato a visitare la tomba della madre, morta a dicembre e sepolta nel piccolo cimitero di Brenzio, frazione di Gravedona, a cui si arriva percorrendo una breve tratto di strada in mezzo al bosco. Gli erano state tolte le manette, contando sulla presenza di cinque agenti, ma Riella avrebbe colpito con una gomitata quello alla sua destra e spinto a terra quelli davanti a lui, per poi spiccare un balzo verso la scarpata che costeggia la strada.

Da quel momento, il quarantottenne nato e cresciuto in questi boschi dell’alto lago di Como che ora lo stanno proteggendo, è stato cercato in ogni modo, ma finora senza risultati. Che sia stato capace di mettere a segno un’evasione così plateale, e che ancora non si sia fatto prendere, non stupisce chi lo conosce, e i tanti che in passato si sono occupati delle sue ricche vicissitudini giudiziarie. Bracconiere, trovato in possesso di un fucile con matricola abrasa, per il quale era stato arrestato a maggio dello scorso anno, alle spalle ha un arresto per spaccio di droga, una condanna per resistenza a pubblico ufficiale e l’assoluzione dall’accusa di bracconaggio per mancato raggiungimento della prova, ma l’accusa per la quale si trovava ora detenuto al Bassone di Como, è di rapina nei confronti di due coniugi ottantenni, che a metà ottobre si erano trovati in casa un uomo che li aveva minacciati con un coltello. Non è la prima volta che Riella mostra la sua poca inclinazione a farsi rinchiudere in una cella. Tempo fa nel suo telefono era stato trovato un video in cui mostrava come liberarsi delle manette.

A dicembre i carabinieri di Menaggio avevano impiegato due settimane a notificargli l’aggravamento della custodia cautelare, revoca degli arresti domiciliari ottenuti per il possesso del fucile illegale. Ma alla vista delle pattuglie, era saltato da una finestra al secondo piano della sua abitazione, anche quella volta inghiottito dalla fittissima boscaglia. Seppure con fatica, l’arresto era arrivato, ma il 3 gennaio era riuscito a compiere un altro dei suoi blitz: durante l’ora d’aria si era arrampicato su una grondaia raggiungendo il tetto del carcere, sul quale era rimasto un paio d’ore. Aveva detto che era una protesta per non aver potuto partecipare al funerale della madre, ma in procura era stata qualificata come tentata evasione.

Per questa evasione l’ipotesi più plausibile è che si nasconda all’interno di un’area di qualche chilometro quadrato di boscaglia: impraticabile per chi non è cresciuto da quelle parti, del tutto familiare per lui. Un territorio di cui conosce tutti i casolari abbandonati o chiusi, ma dove può anche contare su molti aiuti: quelli dei suoi amici, con i quali ha in comune trascorsi e stile di vita, o quelli di chi lo teme. Le sue ricerche sono coordinate dal Nucleo Investigativo della polizia penitenziaria di Milano, specializzato in queste attività, e aiutato dalle forze di polizia locali. Per ora di lui non c’è traccia, ma c’è da chiedersi per quanto potrà fare il ricercato senza soldi, senza cibo, senza un riparo stabile. Senza vivere.