Napoli capitale degli euro falsi: inventano anche la banconota da 300

Presa la superbanda. "Sotto il Vesuvio il 90% del denaro contraffatto"

Totò con Peppino e Giacomo Furia nel film «La banda degli onesti» del 1956

Totò con Peppino e Giacomo Furia nel film «La banda degli onesti» del 1956

NINO FEMIANI

NAPOLI, 27 novembre 2014 - ALTRO CHE «banda degli onesti», altro che lirette della vecchia Zecca dello Stato stampate nel piccolo laboratorio da tre pasticcioni (ricordate il fortunato film di Camillo Mastrocinque, protagonisti Totò, Peppino De Filippo e Giacomo Furia? Era il 1956). A Napoli è stata sgominata un’organizzazione transnazionale che, a detta degli inquirenti, metteva in piazza il 90 per cento degli euro falsi di tutto il mondo. E non si accontentava di rovesciare vagonate di banconote truffaldine sul mercato. Credendosi una «succursale della Bce», creava e immetteva anche nuovi tagli: come le banconote da 300 e da 30 euro (inesistenti, la Bce non si è mai sognata di stamparle). A quella da 300, stampata in alcuni esemplari, sarebbe stato assegnato – raccontano gli inquirenti – corso legale in Germania, dove è stata rifilata a un ingenuo tedesco. Prova generale, forse, per lo sbarco nei paesi baltici.

I COMPONENTI della banda di falsari erano in contatto con esponenti della criminalità organizzata di vari Paesi europei, cui davano «lezioni» di contraffazione, spostandosi da un Paese all’altro. Le banconote venivano diffuse non solo in Europa, ma anche in Paesi africani come Algeria, Tunisia e Senegal. Emesse 56 ordinanze cautelari (29 in carcere, 10 ai domiciliari e per tutti gli altri divieto di dimora e obbligo di firma). Raggiunta da uno dei provvedimenti Mimma Guardato, la mamma della piccola Fortuna, morta il 24 giugno scorso dopo essere caduta nel vuoto nel famigerato Parco Verde.

GLI INQUIRENTI hanno poi raccontato l’incredibile attività della banda – denominata Napoli Group – che non solo girava il mondo per fare proseliti e a svolgere stage per aspiranti falsari, ma aveva anche inventato un gergo per depistare gli inquirenti. Così le mazzette di euro false si chiamavano «cosariello» o «ambasciata», le monete «scarpe» o «gnocchi» mentre quando veniva messo in macchina il foglio per il biglietto verde caro a zio Sam, ecco che il Napoli Group cinguettava felice al telefono: «È pronto l’americano», per indicare la mazzetta di dollari fruscianti.

In poco più di due anni, dal 2012 in poi, e grazie a due stamperie clandestine – una ad Arzano (Napoli), l’altra a Gallicano (Roma) – mezzo mondo è stato inondato dal denaro taroccato dai falsari partenopei. Che non disdegnavano la spesa al minuto con gli euro contraffatti. Finivano così nelle casse di ignari commercianti e tabaccai banconote da 50 e 20 euro. Nel poco tempo libero, i falsari napoletani non stavano con le mani in mano, ma «tiravano» anche gratta e vinci e marche da bollo. Perché, si sa, la diversificazione è la base del successo imprenditoriale.