Disarmò un terrorista a mani nude. Lo steward eroe senza clamore

Il gesto risale al 2011, ma è emerso solo ora. Medaglia d’oro dal Colle

Ermenegildo Rossi, lo stewart eroe

Ermenegildo Rossi, lo stewart eroe

Roma, 19 gennaio 2018 - A chi, se non a lui? Lui è Ermenegildo Rossi, classe di ferro 1963, caposteward Alitalia e sindacalista Ugl. «E poi dicono che i sindacalisti», ci scherza su, fresco di medaglia d’oro al valore civile, a sette anni dal dirottamento aereo sventato con un mix di «coraggio» e «sangue freddo», l’inevitabile aiuto della fortuna e di un «perfetto addestramento». Sul volo Az 329 del 24 aprile 2011, partito da Parigi e diretto a Roma, l’allora 47enne caposteward salvò il resto dell’equipaggio e 135 passeggeri da una minaccia in carne e ossa: Valery Tolmachyov, 48 anni, funzionario Unicef della Repubblica del Kazakhistan, un invasato armato di coltello e deciso a dirottare il volo su Tripoli. Pronto a tutto per la causa panislamica in quei giorni di bombe francesi e inglesi sulla capitale libica del morente regime di Muammar Gheddafi.   «La settimana scorsa mi hanno chiamato dalla Prefettura e mi hanno dato questa scatoletta con la medaglia dentro», spiega l’eroe a scoppio ritardato che – secondo le motivazioni – in quei momenti da thriller d’alta quota agì «con pronta determinazione e straordinario coraggio», «splendido esempio di generoso altruismo». Parole riconoscenti? Mai quanto le facce dei passeggeri stravolti. «Uno in particolare, un giapponese, allo sbarco si inchinò a dieci metri da me. E solo quando andai da lui, nonostante fossi ferito, e lo ringraziai – una dieci mille volte – solo a quel punto si alzò e mi fece un ultimo inchino che non potrò dimenticare». Poi, «a volo chiuso», «e solo a quel punto – precisa Rossi – sono salito in ambulanza per medicare i tagli subiti nel corpo a corpo con il dirottatore».

Un nastro da riavvolgere. Quando l’Airbus 320 sta sorvolando le Alpi, ecco che improvvisa si materializza la minaccia. Seguendo il carrello delle vivande, un uomo alto e corpulento afferra la hostess puntandole al collo un coltello sfuggito chissà come ai controlli parigini. «Da questo momento l’aereo è dirottato, si va a Tripoli» è la destinazione urlata dallo sconosciuto. «Lasciala, prendi me»: reagisce il caposteward in quegli attimi di straordinaria tensione. Il dirottatore non gradisce e mantiene la presa pungendo il collo della hostess. Rossi sta calmo: sa esattamente cosa fare. Con il telefono interno chiama il comandante. Parole in codice che attivano le procedure di massima sicurezza. L’attentatore si innervosisce. «Andiamo a Tripoli», lo tiene buono il caposteward.   Altro che Libia. Il comandante ha già blindato le porte della cabina e sta riconfigurando il piano di volo per atterrare nel primo aeroporto del Nord Italia. Ma con una brillante intuizione, l’aiuto di una piccola turbolenza e una straordinaria presenza, Rossi mette ko il dirottatore. Prima lo convince a spostarsi con l’ostaggio in zona business e poi lo atterra alla prima distrazione. Una collutazione pesantissima, al sangue: mani nude contro lama. Volano botte. È fatta. Hostess libera e dirottatore legato con il kit in dotazione a tutti i voli. A Fiumicino scalpitano i Nocs. Le teste di cuoio, quasi incredule, registrano che Rossi ha fatto tutto da solo. Oggi lo steward medaglia d’oro è segretario confederale Ugl e titolare delle grandi vertenze, da Ilva all’Alitalia. «Ma continuo a volare una volta al mese. Non posso proprio farne a meno», dichiara con energia, quasi stupito di tanta fama a sette anni da «quei ricordi estremi».