Venerdì 19 Aprile 2024

Eravamo come loro La festa e l’orgoglio degli italiani all’estero per i trionfi azzurri

"Io esisto, guardatemi". Scriveva John Fante, figlio di emigrati negli Usa. L’urlo di Nino Manfredi in “Pane e Cioccolata“ al gol nel bar svizzero

Migration

di Giuseppe

Catozzella

Quei ragazzi marocchini che esultano nelle strade di mezzo mondo siamo noi. Siamo noi italiani quando eravamo poveri, o quando ammettevamo di esserlo, prima del boom economico e prima dell’attuale impoverimento a causa del quale 200mila connazionali, ogni anno, lasciano il Paese. Quei marocchini siamo noi quando l’emigrazione dall’Italia non era ancora un tabù, e diventava materiale per il senso comune, sceneggiature per il cinema, storie per la letteratura. Quelle ragazze e quei ragazzi marocchini sono lo "Io esisto, guardatemi!" dell’Arturo Bandini di John Fante, geniale scrittore figlio di un abruzzese emigrato in America in cerca di fortuna. Sono l’"oggi sentiremo la terra sotto i piedi" di ’Sull’oceano’ di Edmondo de Amicis; sono "un paese ci vuole, non fosse altro per il gusto di andare via" della ’Luna e i falò’ di Pavese; sono "la faccia di uno che l’aveva fatta lui, l’America" del ’Novecento’ di Alessandro Baricco.

Sono i minatori siciliani del ’Cammino della speranza’ di Pietro Germi che attraversano l’Italia e poi le Alpi per andare a lavorare in Francia, morendo assiderati sugli identici sentieri innevati su cui oggi muoiono i migranti che partono da Oulx. Sono l’indimenticabile Nino Manfredi emigrato nella svizzera tedesca in ’Pane e cioccolata’ (1974), che in un bar in cui trasmettono la partita amichevole Inghilterra-Italia (1973), capelli biondi ossigenati, rompe la messinscena del travestimento da elvetico quando non riesce a contenere l’esultanza al gol degli azzurri, e finisce cacciato dal locale a insulti e spintoni. Guardo i video della festa marocchina, l’esplosione di gioia con cui i tifosi hanno riempito di musiche, di inni, di grida di giubilo, di orgoglio e di sano senso di rivalsa le strade di mezzo mondo, perché la loro nazionale ha fatto la storia qualificandosi per la prima volta ai quarti di finale di un Mondiale. Loro, il Marocco, Paese colonizzato e da sempre vessato, periferia della periferia dell’impero: per loro già i quarti valgono come una vittoria.

L’Italia, lo sappiamo, ahinoi, non gioca. Ma esultare non solo è consentito finché inoffensivo, ma è anche bello da vedersi, oltre che una consuetudine di tutte le tifoserie del mondo e di tutti gli sport. Invece, sotto i video caricati sulle homepage dei giornali italiani la maggior parte dei commenti è violenta, violentissima. Non varrebbe la pena riportarli se non fossero indice di qualcosa che si nasconde. Pesco a caso: "Potete ammirare una razza rara di maiali al pascolo", "Sti lavavetri di m…", "Putin sgancia la bomba", "Sempre detto che sono una razza di m…", "Ecco il reddito di cittadinanza", "Che brutta razza", "Che schifo, povera Italia". Si sa che per chi non è felice l’infelicità altrui vale mezza gioia, e quindi l’esultanza, il giubilo, la festa degli altri valgono una condanna. Ma mettiamoci nei panni di Nino Manfredi al gol della nazionale azzurra: quell’esultanza nel bar dei crucchi vale tutti gli insulti presi. Anzi, vale molto, molto, molto di più.