Energia, il carbone torna di moda. "L’Italia riaprirà vecchie centrali"

Draghi avverte che la crisi ci costringerà a riguardare anche alle fonti fossili per coprire l’emergenza. Aumentare la produzione di gas si può, ma ci vogliono anni. E le rinnovabili? Siamo fermi al 2014

Il gas russo per ora è fondamentale per l'Europa

Il gas russo per ora è fondamentale per l'Europa

Rojma, 26 febbraio 2022 - L’Italia è il Paese più esposto a un’eventuale escalation tra la Russia e la Nato. Non dipende dal gas russo soltanto per scaldarsi e cucinare, ma anche per alimentare le centrali che fanno girare la nostra economia e i nostri elettrodomestici. L’Italia è l’unico Paese al mondo che alimenta oltre il 50% del suo fabbisogno elettrico con il gas. Contrariamente agli altri europei, se Putin taglia le forniture, gli italiani non restano solo al freddo ma anche al buio. Per questo il premier Mario Draghi ha illustrato ieri alla Camera tutte le possibili alternative al gas russo su cui possiamo contare. La parola d’ordine, per Draghi, è "diversificazione", un termine su cui hanno battuto invano tutte le istituzioni energetiche del Paese negli ultimi vent’anni, a partire dall’Authority. La diversificazione va applicata innanzitutto al gas. Come? Ampliando le forniture alternative a quelle del gas siberiano, che oggi copre circa il 42% del nostro fabbisogno. Le alternative sono tre.

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IL GAS ITALIANO

Dare fondo ai giacimenti italiani, che al momento vengono sfruttati molto poco. Nelle intenzioni del governo le estrazioni potrebbero essere ampliate da 3 a 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Si tratta però di una misura poco significativa, perché le riserve certe, quindi estraibili, del nostro Paese sono circa 90 miliardi di metri cubi, ovvero circa quello che l’Italia consuma in un anno.

I RIGASSIFICATORI

Aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto. Anche qui i margini di manovra sono ridotti, perché ci mancano gli impianti di rigassificazione, che consentono di ricevere il metano via mare da qualsiasi fornitore eliminando così la dipendenza dai tubi che portano gas siberiano. In Italia ci sono tre impianti, di cui solo uno di taglia significativa, il rigassificatore di Rovigo, che può ricevere 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Altri 10 progetti, fra cui uno molto grande progettato da British Gas, che avrebbe fatto concorrenza ai gasdotti controllati dall’Eni, sono stati abbandonati. Costruirne altri è tecnicamente banale, ma un incubo dal punto di vista burocratico. Lo stesso rigassificatore di Rovigo ha avuto bisogno di 10 anni per essere realizzato.

GASDOTTI ALTERNATIVI

Draghi ha parlato di "rafforzare il corridoio Sud a scapito delle altre importazioni", che significa puntare sul Tap, il gasdotto che collega la Puglia all’Azerbaijan attraverso la Grecia e la Turchia (bypassando la Russia); sul Greenstream, il gasdotto proveniente dalla Libia, che lungo 520 km arriva a Gela; e sul TransMed (lungo 2 mila km), che collega il nostro Paese all’Algeria, attraversando la Tunisia fino a Mazara del Vallo. Ad oggi, l’Algeria è il nostro secondo fornitore di gas, subito dopo la Russia. Anche qui si tratta di infrastrutture che hanno bisogno di tempo per essere ampliate: per il Tap servono uno o due anni.

CENTRALI A CARBONE

Un’altra diversificazione possibile è quella di ridurre il peso del gas sul mix elettrico nazionale. Come? In Italia non c’è il nucleare e ci sono poche centrali a carbone, che oggi coprono meno del 10% della domanda elettrica nazionale e che l’Italia si apprestava a spegnere definitivamente entro il 2025. Il grosso della capacità termoelettrica da carbone viene dalle quattro grandi centrali ancora attive dell’Enel: Civitavecchia e Brindisi Sud (1800 MW), Fusina (Venezia, 560 MW) e la centrale del Sulcis (480 MW). Enel ha già chiuso alcune altre centrali, dismettendo così 1.900 megawatt di capacità a carbone a fine 2021. Riavviare gli impianti non è difficile, tanto che lo stesso Draghi, ieri, ha avvertito: "Potrebbe essere anche necessaria la riapertura delle centrali a carbone per colmare eventuali mancanze nell’immediato". Questa è però una direzione opposta a quella della transizione ecologica, già intrapresa.

RINNOVABILI

La risposta più valida, ha detto Draghi, "sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nella direzione di un maggiore sviluppo delle fonti rinnovabili, anche e soprattutto con una maggiore semplificazione delle procedure". Questo è il punto più dolente. L’Italia, che era all’avanguardia in Europa per lo sviluppo delle fonti verdi, dal 2014 è praticamente ferma. Queste tecnologie sono ormai competitive e molto rapide da costruire, ma vengono regolarmente bloccate dalla burocrazia. Riprendere la corsa alle rinnovabili intrapresa nei primi anni Duemila sarebbe la soluzione più rapida e pulita per rispondere alla crisi.