Giovedì 18 Aprile 2024

Emanuele Filiberto rinnega il bisnonno "Le leggi razziali dei Savoia una vergogna"

L’ultimo erede dell’ex casa reale scrive alla comunità ebraica: "È tempo di fare i conti con la storia, chiedo perdono a nome della mia famiglia"

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di Riccardo Jannello

Li chiama Fratelli più volte. E chiede loro perdono. Emanuele Filiberto di Savoia, principe di Venezia, nipote di Umberto II il re di maggio, abiura le leggi razziali di Mussolini promulgate in varie fasi dal bisnonno Vittorio Emanuele III negli ultimi mesi del 1938 e lo fa con una lettera alle Comunità Ebraiche d’Italia letta, da uomo di spettacolo, ieri sera al Tg5 alla vigilia del Giorno della Memoria.

"Ho deciso questo passo – spiega Emanuele Filiberto nella missiva – per me doveroso, perché la memoria di quanto accaduto resti viva, perché il ricordo sia sempre presente. Condanno le leggi razziali del 1938, di cui ancor oggi sento tutto il peso sulle mie spalle e con me tutta la Real Casa di Savoia, e dichiaro solennemente che non ci riconosciamo in ciò che fece re Vittorio Emanuele III: una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile per la mia Famiglia, una ferita ancora aperta per l’Italia intera".

Il giovane Savoia – che di recente è diventato ristoratore in California dopo avere partecipato a numerosi spettacoli in tv e avere cantato a Sanremo – piange i sei milioni di ebrei europei "morti per mano della follia nazi-fascista, di cui 7500 nostri fratelli italiani. È nel loro rispetto che desidero oggi chiedere ufficialmente e solennemente perdono a nome di tutta la mia Famiglia". Che ha avuto una vittima nei campi di concentramento, Mafalda, figlia proprio di Vittorio Emanuele III, morta a Buchenwald l’8 agosto 1944. Emanuele Filiberto ricorda anche l’altra figlia del sovrano, Maria Francesca, internata in un campo in Germania e liberata dagli anglo-americani nel 1945.

Una lettera "scritta a cuore aperto, non facile, che può stupirvi e che probabilmente non vi aspettavate", afferma ancora Emanuele Filiberto, che esprime il desiderio "sinceramente sentito e voluto, che indirizzo a tutta la Comunità italiana, che siano riannodati quei fili malauguratamente spezzati, perché sia un primo passo verso quel dialogo che oggi desidero riprendere e seguire personalmente. Con tutta la mia sincera fratellanza". Ricordando l’errore del bisnonno, Emanuele Filiberto cerca però in qualche modo di giustificarlo per una firma al quale sarebbe stato costretto dal Duce e ricorda la visita del 1904 alla Sinagoga di Roma e di come il re avesse in grande rispetto gli ebrei italiani che avevano combattuto nella Grande Guerra e quelli che lavoravano per la Patria, come il suo stesso maggiordomo.

E, andando ancora più indietro, ha segnalato come lo Statuto di Carlo Alberto (1848) permettesse agli ebrei italiani gli stessi diritti degli altri. Ma la firma sulle leggi razziali aveva annullato tutte queste buone intenzioni nei confronti della comunità ebraica italiana. E quello che avvenne il 16 ottobre 1943 nel Ghetto di Roma con la deportazione di massa fu il culmine di quell’atto senz’altro fortemente voluto da Mussolini spinto da Hitler, ma al quale il sovrano non era riuscito a opporsi.

Le prime parole di riavvicinamento fra i Savoia e gli ebrei erano state quelle blande del padre di Emanuele Filiberto, Vittorio Emanuele, al rientro in Italia dall’esilio il 20 novembre 2002. In quella occasione i Savoia parlarono delle leggi razziali come "vergogna dell’Italia" senza sottolineare il ruolo della Casa regnante, e furono quindi contestati da una parte dell’opinione pubblica. Diciannove anni dopo si potrebbe chiudere quella ferita.

"Emanuele Filiberto si è limitato a dire quello che già io avevo dichiarato nel 2002", ha commentato con sarcasmo Amedeo d’Aosta, che con i cugini non ha certo un buon rapporto.