Emanuela Orlandi, Mirella e le altre. "C'è un filo rosso che lega omicidi e sparizioni"

L'ex giudice Otello Lupacchini, oggi scrittore, per primo collegò i due casi al giallo di via Poma: "Molti delitti e misteri ci riportano a quel 1983. E c’è il sospetto che la matrice sia unica"

Un'immagine di Emanuela Orlandi in piazza San Pietro (Ansa)

Un'immagine di Emanuela Orlandi in piazza San Pietro (Ansa)

Roma, 13 gennaio 2023 - Magistrato in pensione, giurista, filosofo, editorialista, scrittore: Otello Lupacchini, marchigiano di nascita, 71 anni, ha scritto un libro a quattro mani ("mani, non zampe" scherza) con Max Parisi dal titolo "Dodici donne e un solo assassino: da Emanuela Orlandi a Simonetta Cesaroni", vicende traumatiche come quella della figlia del commesso pontificio e dell’altra giovane sparita negli stessi giorni, Mirella Gregori, poste a confronto con dieci omicidi pieni, come le loro scomparse, di misteri, segreti e scene del crimine alterate.

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Dottor Lupacchini, che cosa hanno in comune dieci donne morte e due scomparse?

"L’aspetto fisico, intanto, i cadaveri portati in luoghi diversi, lavati e senza gli indumenti intimi. Una manipolazione che ci ha fatto tracciare un profilo nel quale possiamo ricondurre gli omicidi a un’unica matrice".

Ma di Emanuela e Mirella i corpi non sono stati trovati.

"Infatti sono da un’altra parte rispetto a dove dovevano essere: anche questo è un indizio. Come quello che molti di questi omicidi avvengono in quello stesso 1983".

Fra i casi esaminati del presunto serial killer ce n’è uno che torna anche nell’indagine sulla Orlandi

"Sì, Caterine Skerl, uccisa nel 1984. Marco Accetti, uno dei pentiti inattendibili dell’ultima inchiesta archiviata nel 2015, sostenne che la ragazza venne uccisa da una fazione interna al Vaticano, contraria all’anticomunismo di papa Woytjla, e che la sua bara fosse fatta sparire. Non si sono trovati riscontri".

Ora il caso di Emanuela è stato riaperto dal Promotore di Giustizia del Vaticano: cosa ne pensa?

"Le possibilità sono due, estreme: o il dottor Alessandro Diddi, persona molto qualificata e seria, si è trovato di fronte all’emersione di nuove prove, o è solo un momento nella strategia di sviamento dalla verità. Per rispetto della persona e della istituzione spero ci siano sviluppi tangibili, ma temo di no".

Per quale motivo?

"Le fonti attendibili non ci sono più, le altre sono prosciugate o inquinate. Una verità processuale a 40 anni di distanza è impossibile".

E quindi non sapremo mai che cosa è davvero successo quel 22 giugno 1983?

"Non dalla verità giudiziaria. I nostri dubbi saranno svelati dagli storici. Il processo è stato compromesso da errori lampanti nelle indagini, e da una gestione opaca del Vaticano".

Cosa non quadra?

"Innanzitutto la ragazza scompare il 22 giugno 1983, ma fino all’Angelus di Giovanni Paolo II il 3 luglio non ci sono denunce né indagini, nonostante il volto di Emanuela sia su tutti i muri di Roma. Se non ci fosse stata una telefonata allo zio nessuno si sarebbe mosso".

Un rapimento per avere quale riscatto?

"La necessità di intavolare una trattativa, su cosa non lo sappiamo. Ma per farlo la persona rapita deve stare bene. Non risulta che sia mai stata chiesta od offerta la prova dell’esistenza in vita del presunto ostaggio, una contraddizione molto strana. A meno che non si volesse fare capire che Emanuela fosse già morta".

L’ex procuratore Giancarlo Capaldo, che riaprì le indagini nel 2008, ha lamentato la decisione nel 2015 del nuovo capo della procura di Roma, Giuseppe Pignatone, ora presidente del tribunale vaticano, di archiviare la nuova inchiesta.

"Si è basata su pentiti poco attendibili".

Un esempio?

"Sabrina Minardi, la compagna di Renato De Pedis. Parlò di due sacchi della spazzatura nei quali erano rinchiusi i cadaveri di Emanuela Orlandi e di Domenico Nicitra, il figlio undicenne del boss della Magliana Salvatore. Peccato che la ragazza fosse scomparsa da sette anni e il piccolo sia morto tre anni dopo De Pedis".

Tutto da buttare?

"Nei miei casi l’unico interesse era di accertare i fatti non di rincorrere clamore e carriera, giocare sulle prove e fare dietrologie. La posta in gioco deve essere sempre appurare la verità, non altro. Nel caso Orlandi non si è fatto".