Venerdì 19 Aprile 2024

Emanuela Orlandi, storia di segreti e depistaggi. Le ipotesi degli inquirenti

Dalla Magliana a Marcinkus, tante le tracce seguite. Ma ancora nessuna verità

Emanuela Orlandi (Ansa)

Emanuela Orlandi (Ansa)

Roma, 1 novembre 2018 - «Viva apprensione ha destato in Vaticano la scomparsa di una ragazza di 15 anni, Emanuela Orlandi, figlia di un messo della Prefettura pontificia, della quale non si hanno più notizie da due giorni». Raccontava così il primo atto di un dramma infinito, quel dispaccio dell’Ansa diramato il 24 giugno 1983. Trentacinque anni dopo, salvo colpi di scena dell’ennesima inchiesta aperta proprio in queste ore, siamo al punto di partenza. Tanta carne al fuoco, ripercussioni internazionali, lunghe e costose indagini, archiviazioni, con il pungolo dei familiari mai rassegnati, rivelazioni, autocalunnie, depistaggi. Mentre lo strazio accomunava alla famiglia Orlandi quella di un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, scomparsa già dal mese di maggio dello stesso anno senza lasciare traccia. Coetanea di Emanuela, figlia dei titolari di un bar, Mirella aveva condiviso con la sua futura compagna di sventura, senza conoscerla, un’udienza del mercoledì con papa Wojtyla. Come attestò poi la foto pubblicata da un settimanale.

Due anni prima, il 13 maggio 1981 a San Pietro, il «lupo grigio» turco Ali Agca aveva gravemente ferito a colpi di pistola Giovanni Paolo II. Condannato per direttissima all’ergastolo, il terrorista nero nel frattempo si era «pentito» indicando in una serie di dignitari dell’ambasciata di Bulgaria a Roma i suoi mandanti. Quello che fu definito «il processo del secolo», nel giro di pochi anni naufragò miseramente. Ma tra il 1983 e il 1984 i messaggi diffusi da sedicenti complici di Agca tentarono di accreditare un legame fra il complotto per eliminare il Papa polacco e il rapimento della figlia di un funzionario vaticano. E in quel primo anno d’indagini sul caso Orlandi il Pontefice intervenne ben otto volte, con appelli pubblici, per la liberazione della ragazza.

Il cardinale Agostino Casaroli, potente segretario di Stato, mise a disposizione per i contatti con i presunti rapitori una linea telefonica riservata. Ma nel 1997 la prima inchiesta della magistratura italiana fu archiviata.

A quella data era da tempo uscito di scena un personaggio sulla bocca di tutti: monsignor Paul Casimir Marcinkus, invano inquisito dai giudici milanesi per il ruolo dello Ior, la banca vaticana, nel crac dell’Ambrosiano e rientrato negli Stati Uniti. Nel 2005 le acque tornano ad agitarsi perché, durante il programma tv «Chi l’ha visto?» un anonimo telefonista invita ad «andare a vedere chi è sepolto nella cripta di Sant’Apollinare e quale favore Renatino fece al cardinal Poletti, all’epoca»: la chiesa indicata sorge accanto alla scuola di musica dove Emanuela era impegnata per la sua lezione di flauto quando scomparve.

Si scopre così che l’illustre defunto era Enrico De Pedis, detto Renatino, l’ultimo boss dell’ormai frantumata Banda della Magliana, ucciso da suoi ex sodali nel 1990. E Sabrina Minardi, ex amante proprio di De Pedis, rivela agli inquirenti che Emanuela sarebbe stata tenuta prigioniera e poi uccisa, rinchiusa in un sacco e gettata in una betoniera sul litorale. La pista viene coltivata, con i magistrati che procedono per sequestro di persona a scopo di estorsione e omicidio volontario aggravato dalle sevizie e dalla minore età della vittima. Fino al 2012, quando la tomba in Sant’Apollinare viene aperta per ordine della Procura e il corpo lì sepolto viene identificato come quello di De Pedis. Ma dalle analisi sugli altri reperti ossei ritrovati non emerge niente di utile alle indagini sul caso Orlandi. E la superteste Minardi, intanto, è finita lei stessa sotto inchiesta fra ritrattazioni e smentite.

«Io ti dico monsignor Marcinkus perché io non so chi c’è dietro.. ma io l’ho conosciuto a cena con Renato... hanno rapito Emanuela per dare un messaggio a qualcuno», dirà in uno dei suoi interrogatori sul conto dell’alto prelato, morto negli Usa nel 2006. Un rompicapo che viene ancora una volta archiviato dalla Cassazione nel 2017.