Eitan, una famiglia in guerra: il nonno, la zia e gli altri protagonisti

Dalla tragedia del Mottarone alle indagini per rapimento. Ed è giallo su come sta il bimbo conteso, ora in Israele

Caso Eitan, i protagonisti

Caso Eitan, i protagonisti

Pavia, 14 settembre 2021 – È una famiglia innanzitutto spaccata dal dolore quella di Eitan Biran, 6 anni, il bambino israeliano unico sopravvissuto alla strage del Mottarone e ora conteso. Nel disastro della funivia, avvenuto il 23 maggio scorso a Stresa, il piccolo ha perso il padre Amit, 30 anni, che si era trasferito a Pavia nel 2018 e lavorava alla scuola ebraica di Milano; la madre, Tal Peleg, 27 anni, tirocinante in psicologia; il fratellino Tom, nato nel 2019 in Italia; e i bisnonni paterni arrivati da Tel Aviv per una visita ai loro cari, Barbara Cohen Konisky (aveva 61 anni) e Itshak Cohen (ne aveva 82).

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Gli zii in Italia e la famiglia in Israele

Scampato alla tragedia e dopo essere stato ricoverato a lungo in ospedale, Eitan è stato affidato dal tribunale di Pavia alla zia paterna, Aya Biran, 41 anni, medico, che vive a Travacò (Pavia) con il marito Or Nirko e due figlie piccole che frequentano la scuola dove sarebbe dovuto andare anche Eitan. I dissidi tra le due famiglie, i parenti del padre del bambino e quelli dalla parte della madre, sono iniziati proprio dal momento in cui si doveva decidere a chi assegnare la tutela del piccolo. I nonni materni di Eitan, Shmulik (Shmuel) Peleg, 58 anni (ex militare dell’esercito israeliano e ora consulente di un’azienda di elettronica), e la ex moglie Etty Peleg, entrambi indagati per il sequestro del bambino, si erano opposti all’affidamento del nipote alla zia paterna in Italia, rivendicando sin dall’inizio che il bimbo sarebbe dovuto crescere in Israele. Dello stesso parere, anche secondo quanto ha dichiarato all’indomani del sequestro di Eitan da parte del nonno, la zia Gali Peleg, sorella di Tal mamma di Eitan. Shmuel Peleg e l’ex moglie, subito dopo la decisione del tribunale italiano di affidare la tutela di Eitan ai parenti in Italia, si erano anche rifiutati di restituire il passaporto israeliano del nipotino nonostante l’ordine del giudice tutelare. Il termine entro il quale consegnare il documento era il 30 agosto.

Cosa sappiamo della vicenda

Dopo la strage della funivia il nonno di Eitan, praticamente il giorno dopo – sconvolto dal dolore per aver perso già un nipote, la figlia e il genero, come ricordano i suoi avvocati italiani –, si era trasferito in Italia proprio per restare vicino al nipote. Secondo le disposizioni del giudice tutelare, poteva incontrarlo due volte a settimana e tenerlo con sé durante il giorno fino a restituirlo la sera alla zia paterna. Cosa che avrebbe dovuto fare anche sabato 11 settembre: era andato a prendere Eitan con la promessa di portarlo ad acquistare dei giocattoli, senza però ripresentarsi alle 18.30 come concordato con Aya Biran. Il bimbo aveva promesso alle cuginette di prendere anche un regalo per loro. Invece, come ricostruito dagli inquirenti italiani, l’ex militare israeliano ha raggiunto la Svizzera e poi, da Lugano, con un volo privato noleggiato per circa 6mila euro, è tornato in Israele con il nipote.

Dov'è Eitan e come sta

"Eitan è in pessime condizioni, ora sta ricevendo le cure di cui ha bisogno, comprese terapie psicologiche più approfondite" aveva specificato ieri la nonna Etty facendo sapere che il bambino sarebbe ricoverato nel prestigioso ospedale Sheba di Ramat Gan. Anche la stessa Etty, tra l’altro, si era trasferita in Italia almeno nell’ultimo periodo per tornarsene però in Israele, a quanto risulta, proprio un paio di giorni prima del blitz dell’ex marito. Il primo ad additare la donna come complice dell’ex marito nel sequestro del nipote, era stato ieri lo zio paterno Or Nirko. "La famiglia Peleg - ha detto oggi -si rifiuta di dire dove il bambino si trova. Lo nascondono in una specie di buco». Alla domanda se sono andati all’ospedale Sheba per verificare la presenza di Eitan, Nirko ha risposto: "C’è andato mio fratello, ma Eitan non c’è". Lo stesso Or Nirko e la moglie Aya Biran hanno spiegato sempre oggi di aver presentato un’istanza al tribunale di Tel Aviv per ottenere la restituzione del bambino. L’atto è stato inoltrato in base all’art. 29 della Convezione dell’Aja che, tra le altre norme, consente al titolare del diritto di affido di "rivolgersi direttamente al competente tribunale per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l’intermediazione delle autorità centrali".