Giovedì 18 Aprile 2024

Angelica Ippolito: "Eduardo, mio patrigno e maestro. Volonté è stato l’amore della vita"

L’attrice, figlia della terza moglie di De Filippo: "A casa nostra venivano Nino Rota e Laurence Olivier". "A Gian Maria non potevi mentire, provocava senza aggressività, per ogni film si metteva agli arresti domiciliari"

Angelica Ippolito con Gian Maria Volonté

Angelica Ippolito con Gian Maria Volonté

Eduardo De Filippo, che sposò in terze nozze sua madre Isabella Quarantotti, è stato un altro padre. Gian Maria Volonté, di cui fu compagna per dieci anni fino alla morte, un grande amore. Carlo Cecchi, con il quale dal Duemila è tornata a condividere tournée teatrali, un compagno d’arte. Quante vite, quante storie, quante utopie ha attraversato un’attrice di rango come Angelica Ippolito? Napoletana, classe ‘44, erede di una famiglia importante (suo padre Felice Ippolito è stato il fautore dello sviluppo dell’industria nucleare italiana), Angelica ha concentrato la sua carriera soprattutto sul palcoscenico, non rinunciando comunque almeno fino a vent’anni fa a incursioni in cinema e in tv.

Una testimone di quell’inesauribile patrimonio che è stata la seconda metà del Novecento?

"Appartengo a una generazione fortunata – racconta – dove i giovani contavano. Ho incontrato Penna, Pasolini, Morante...È stata una festa della vita".

In questo periodo sta portando in scena con Carlo Cecchi un dittico di Eduardo prodotto da Marche Teatro (Dolore sotto chiave e Sik Sik) che lei aveva interpretato a 30 anni con Eduardo. Il sodalizio con Cecchi è di lunga data?

"Alla fine degli anni ‘60, quando insieme fondammo la compagnia ‘Granteatro’. Con noi c’erano Paola Pitagora, Paolo Graziosi e Peter Hartmann. Il testo che rappresentavamo, ‘Ricatto a teatro’ di Dacia Maraini, scandalizzò a Montepulciano qualcuno del pubblico, fummo denunciati e finimmo addirittura in prigione".

E a quel punto?

"Il gruppo si sfaldò e Carlo ed io fummo accolti nella compagnia di De Filippo, da cui lui presto se ne andò. Non abbiamo più lavorato insieme fino al Duemila. Cecchi è come erano Eduardo e Gian Maria, artisti toccati dalla vocazione. Quando a Eduardo chiesero cosa avrebbe fatto se non fosse stato attore rispose: ‘Forse non sarei nato’".

Cosa è stato per lei De Filippo?

"Quasi un padre. Avevo già debuttato in una sua commedia al Valle quando ancora frequentavo l’accademia: si intitolava Io l’erede e c’erano Gianrico Tedeschi e Ferruccio De Ceresa. Quando tornai con Carlo ebbi una piccola parte ne Le voci di dentro. Venendo dall’esperienza del Granteatro arrivare in quella compagnia fu abbastanza sconvolgente: mi sembrava di stare in chiesa. Poi entrarono molti giovani e l’atmosfera cambiò. Si cantavano canzoni napoletane, si scherzava e anche Eduardo veniva spesso alle cene"

Com’era lavorare con lui?

"Le commedie erano rodate e Eduardo dava agli attori le giuste intonazioni. Questo suo modo all’inizio mi sconvolse ma poi capii che le sue commedie erano come spartiti musicali e che andavano dette in quella maniera lì. Era come abbandonarsi a una partitura: se non usavo certe intonazioni non venivano né gli applausi né le risate. Mi diceva: ‘Vuoi imparare a recitare? Mettiti dietro le quinte e guardami’".

È stata in scena a lungo anche con Luca, il figlio di Eduardo e Thea Prandi...

"Per me è stato un vero fratello, ci siamo voluti tantissimo bene. Era una persona riservata e chiusa, poco propensa a raccontarsi. Essere figlio di Eduardo e subire inevitabili confronti era un peso così forte da fargli iniziare la carriera con il nome di Luca Dalla Porta. Del resto anch’io, quando ho cominciato a fare l’attrice, venivo definita la figlia di Felice Ippolito".

Com’è vivere in una famiglia allargata?

"In realtà non c’era nessuna famiglia allargata: a casa stavamo mamma, Eduardo, Luca e, a volte, io. Una cosa che mi intenerisce è che Matteo, il primogenito di Luca che ora è un bravissimo chef a Madrid, ha chiamato i suoi due bambini Luca e Angelica".

Ce l’ha ancora la targa del David di Donatello che vinse negli anni ‘70 per il film Oh, Serafina!?

"No, è andata smarrita in qualche trasloco. Come attrice ho fatto anche cinema e televisione ma la mia passione profonda resta il teatro".

Quando ha conosciuto Gian Maria Volonté?

"Nel ‘77 sul set del film di Damiano Damiani Io ho paura. Era un uomo apparentemente molto serio ma anche spiritoso e simpatico. Gian Maria aveva la facoltà di mettere le persone in condizioni di non mentire e di essere se stesse, anche con piccole provocazioni mai aggressive".

Con lui visse per nove anni a Velletri nella casa di sua madre?

"Era una villa dei primi del Novecento piena di storia: Eduardo l’aveva comprata da Andreina Pagnani e da lì erano passati Sordi e la Magnani. Con Eduardo la casa si era popolata di altre personalità come Nino Rota e Laurence Olivier. Rimpiango di non avere messo una targa con tutti i nomi di quei grandi personaggi".

Adesso il teatro di Velletri è intestato a Volonté?

"Sì, perché Gian Maria si batté affinché il teatro non diventasse un garage o un supermarket, coinvolgendo artisti a livello nazionale, raccogliendo firme, andando a parlare in Regione fino al punto di salvare questo luogo storico. Nel ‘94, per celebrare i 50 anni dalla fine della guerra, realizzammo lo spettacolo Tra le rovine di Velletri tratto dal diario di padre Laracca, parroco del paese. I protagonisti erano gli abitanti di Velletri e lo spettacolo si svolse sulla scalinata del Comune. Sulla scena c’era 150 persone fra gente che portava la proprio testimonianza, banda e coro. Lo spettacolo si fece a luglio e in dicembre Gian Maria morì d’infarto sul set in Grecia".

Quali sono stati i suoi film migliori?

"Quando glielo chiedevano lui rispondeva che sarebbe stato il prossimo. Credo che con Rosi e Petri abbia realizzato capolavori che appartengono alla storia del cinema. Quando iniziava lo studio di un copione era dedito solo a quello tanto è vero che io scherzando gli dicevo: ‘Sei agli arresti domiciliari’. Era un uomo apparentemente ruvido ma generosissimo con gli altri attori".

Ha rimpianti?

"No, non ne ho. Ho fatto il teatro e continuo a farlo".

Perché concede pochissime interviste e su Internet si trovano così scarsi materiali che la riguardano: la sua discrezione è una reazione ai ‘tempi pubblici’ che viviamo?

"Sono sempre stata così e ho sempre creduto che a parlare dovesse essere il mio lavoro. Sono restia a rilasciare interviste quando mi chiedono di Eduardo e di Gian Maria. Penso che quello che conta è il patrimonio che hanno lasciato. Il resto è un parlare inutile".