"È una guerra contro la lobby gay" Il patriarca Kirill esalta gli invasori

Proclama anti-occidentale nella domenica del Perdono. La Chiesa Ortodossa russa sempre più filo Putin

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di Giovanni Panettiere

Neanche la sanguinosa invasione russa dell’Ucraina spinge il patriarca di Mosca a liberarsi dall’abbraccio mortale di Putin, sempre più a suo agio nei panni (mai dismessi) del dittatore. Sollecitato a condannare l’attacco a Kiev anche dall’interno della Chiesa ortodossa russa che presiede – una delle diciassette componenti il puzzle dell’ortodossia, ciascuna indipendente, ferma restando la comune dottrina –, il 75enne Kirill ha fatto di testa sua. Senza invocare nemmeno un cessate il fuoco, ha giustificato l’intervento militare del Cremlino nel nome di una crociata contro i diritti omosessuali promossi dall’Occidente.

Nel suo ultimo sermone, pronunciato durante il culto divino della Domenica del Perdono, il patriarca ha sostenuto che "le parate del Gay Pride dimostrano la sussistenza del peccato come variabile del comportamento umano". Il loro svolgimento rappresenta "un test di lealtà" ai governi occidentali, respinto dalle due repubbliche separatiste del Donbass, dove "vi è un fondamentale rifiuto dei cosiddetti valori offerti da chi rivendica il potere mondiale". In ballo c’è la salvezza umana. "Siamo entrati in una lotta che non ha significato fisico, ma metafisico", è il crescendo wagneriano di Kirill che spiazza anche i più inclini all’ecumenismo.

Putin incassa e ringrazia. Come da copione, d’altronde, considerando il doppio filo che lega, in una smaccata attualizzazione della Chiesa di Stato costantiniana, il patriarcato di Mosca al Cremlino. Il secondo necessita del primo, vera coscienza nazionale, per far presa in tempi di secolarizzazione incipiente quantomeno sulla Russia più profonda. Kirill copre le spalle e si affida all’ex agente del KGB – resta il mistero sul fatto che entrambi abbiano lavorato nei servizi sovietici – per avere protezione dopo i secoli turbolenti per gli ortodossi dello zarismo, quando Pietro il Grande abolì il patriarcato sorto nel 1589 a discapito di quello originario russo di Kiev, e dell’ateismo di Stato stalinista.

La cattedrale di Kazan sulla Piazza rossa è stata eretta da Yeltsin, ma è Putin ad averla valorizzata con le sue donazioni. Senza tacere che il presidente non è tipo da scandalizzarsi per le ricchezze (yacht e immobili) dell’alto prelato. Non si sofferma sugli orologi che Kirill porta al polso. Come quello da 30mila dollari che, finito in una fotografia, costrinse il presule a un repentino ritocco allo scatto.

Di certo il Cremlino è al fianco del patriarcato nel duello con quello di Costantinopoli, primus inter pares nella cristianità ortodossa. I rapporti fra Kirill e l’omologo Bartolomeo I sono pessimi. Non solo perché Mosca, coi suoi 150 milioni di fedeli nel mondo, rivendica il primato a discapito di Bisanzio (7 milioni). A pesare è più che altro il riconoscimento nel 2018, da parte di Bartolomeo I, dell’indipendenza dall’autocefalia russa della Chiesa ortodossa ucraina. Un affronto per Kirill che si sente al timone della terza Roma, Mosca, dopo che la seconda, Costantinopoli, storicamente è caduta per mano degli ottomani

Il problema è che la guerra a Kiev sta indebolendo al suo interno la stesso patriarcato. Oltre 250 preti e diaconi hanno chiesto a Kirill di prodigarsi per la pace, altrettanto ha fatto il primate ucraino, rimasto fedele a Mosca, Onufriy. Appelli caduti nel vuoto che hanno spinto il Papa a rompere gli indugi e inviare in Ucraina due cardinali. Inutile illudersi su una convergenza con Kirill contro il conflitto. Quel che tanti pensano per ora lo dice solo la Chiesa ortodossa rumena: il patriarca è complice di Putin.