Mercoledì 9 Ottobre 2024
MATTEO MASSI
Cronaca

"È la prassi" Ma si paga con la vita

La prassi può avere un prezzo troppo alto: la vita. La testimonianza di un ex operaio specializzato rivela come una prassi, per quanto innocua, possa mettere a repentaglio la sicurezza. Una prassi che non è ammissibile in un Paese civile fondato sul lavoro.

Con la voce o con un fischio per avvisare dell’arrivo del treno. La chiamano prassi. Nel giorno in cui dal video girato sui binari di Brandizzo rimbombano le parole ("Se dico treno spostatevi") pronunciate qualche minuto prima dello schianto e della strage (cinque operai morti), dalle trascrizioni di un’udienza del processo per un altro disastro ferroviario, quello di Pioltello (25 gennaio 2018), spunta la testimonianza di un ex operaio specializzato resa lo scorso maggio. "Io facevo la scorta – ha chiarito ai pm –. Se c’era il passaggio dei treni fischiavo e la squadra doveva uscire fuori".

La prassi, appunto. Sembra una parola dal suono innocuo. Ma viene sottovalutato il peso di qualsiasi tipo di azione che viene associato alla parola stessa. Si fa così, si è sempre fatto così. Perché il più delle volte si è costretti: rotelle finali di un ingranaggio che deve accorciare il più possibile i tempi, anche rischiando (appunto) di andare fuori giri. Ma qual è il prezzo di una prassi? Spesso irrisorio, ma talvolta il costo è decisamente più alto. Anzi, è in assoluto il più alto: perché si mette a repentaglio la propria vita e quella di altri. Se il suono è innocuo, se il prezzo è irrisorio, il significato però di questa parola è inequivocabile. Basta sfogliare la Treccani per comprenderlo: "Procedura abituale, consuetudine nello svolgere una determinata attività, specialmente con riferimento ad attività regolate solo da norme generali e incomplete, non codificate in una legge o in un regolamento".

Quel confine tra ciò che si può fare e ciò che non si deve fare (senza utilizzare il dovrebbe, condizionale che lascia aperto all’interpretazione) non andrebbe mai superato in un Paese che piange cinque morti sul lavoro ogni due giorni, 17 ogni settimana e 75 ogni mese. Così da una prassi si passa immediatamente a un’altra. Che per un Paese civile, fondato sul lavoro (come ricorda la Costituzione), non è ammissibile.