E Conte disse: io speriamo che me la cavo

Michele

Brambilla

Quello che è successo negli ultimi tre mesi ha dell’incredibile. A ottobre Conte ci aveva chiesto un novembre di sacrifici per salvare il Natale. A inizio dicembre ha annunciato che evviva, per le feste non ci sarebbero state più regioni rosse, tutta Italia sarebbe stata in “giallo-scuro”. Fino alla scorsa settimana era certo che i ristoranti sarebbero rimasti aperti. Poi il dietrofront. La situazione non è migliorata come si sperava e quindi ci si è dovuti correggere? E passi. Ma l’indecisione e la confusione degli ultimi giorni è imbarazzante. Per approdare, per giunta, a norme incomprensibili. L’altro ieri il decreto prevedeva che nei giorni arancioni non ci si potesse spostare fra comuni (salvo cervellotiche deroghe per i comuni di non più di 5.000 abitanti, ma per non più di 30 km di distanza, e ovviamente non verso i capoluoghi di provincia...), mentre in tutti quelli rossi (che dovrebbero essere i più restrittivi) ci si può spostare all’interno della regione se si va verso “un’abitazione privata” (e quindi da chiunque), ma solo dalle 5 alle 22 (e chi si muove di notte?) e non più di una volta al giorno (e chi controlla?). Insomma un delirio al quale il governo ha dovuto cercare di porre rimedio ieri con qualche precisazione. Ma riuscendo perfino a sbagliare la data del decreto sulla Gazzetta Ufficiale: 19 dicembre 2021.

Mai, dall’inizio della pandemia, chi ci guida è stato così tentennante: e il sospetto è che lo sia perché sa che nelle zone rosse non si canta più dai balconi come a marzo, e quindi ha il terrore di precipitare nei sondaggi, e quindi con una mano chiude e con l’altra socchiude, con il risultato che gli italiani non capiscono più nulla e migliaia di ristoratori dovranno buttare nella spazzatura il cibo ordinato fino all’altro ieri. Nel frattempo siamo il Paese più indietro sul piano vaccini e mancano medici e infermieri: ma questi sono dettagli.