Mercoledì 24 Aprile 2024

E alla fine Di Maio processa Conte "Certe leadership hanno fallito"

"La soluzione è arrivata dal basso, dal Parlamento. Anche dentro i Cinque stelle va aperta una riflessione"

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di Ettore Maria Colombo

Esce, felice, sorriso largo, dagli uffici della Camera, Luigi Di Maio, e davanti alle telecamere lancia la bomba: "Alcune leadership hanno fallito – attacca, e ce l’ha con Salvini, ma non solo – hanno alimentato tensioni, hanno creato divisioni, e noi dobbiamo invece lavorare per unire, per allargare. La politica in questi giorni è rimasta vittima di se stessa".

"Per fortuna – continua l’affondo – lo stallo lo hanno risolto il Parlamento della Repubblica con i Grandi elettori, grazie al contributo del presidente del Consiglio Mario Draghi". Anche nel Movimento 5 Stelle è necessario aprire "una riflessione politica interna", è la stilettata finale, rivolta a Giuseppe Conte.

Ma le immagini parlano più di mille parole. E allora ecco che assistere al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che assiste, prima in Aula, e poi davanti al televisore interno a circuito chiuso del Transatlantico di Montecitorio, allo spoglio del voto, l’ottavo scrutinio, che sta per portare al Colle, di nuovo, Sergio Mattarella, dice tutto. Circondato da un affetto sempre più crescente e sempre più entusiasta dei suoi – i primi giorni, in Transatlantico, erano una ventina, poi ogni giorno che passava crescevano, di numero e di peso – “Giggino“ si produce in uno di quei sorrisi larghi, da ragazzo felice che ha appena passato l’esame. E cum laude. Quando Mattarella supera la soglia fatidica dei 505 voti, scatta l’applauso liberatorio.

Stessa scena, ma alle 21 della sera, per Enrico Letta, che si fa fotografare con i suoi dem. La sola, piccola, differenza è che Letta, un partito, ce l’ha e lo governa, pur se da acclamato, mentre Di Maio, in teoria, un partito non ce l’ha più, in mano perché lo guida, in teoria, Giuseppe Conte.

Ecco, Di Maio ha deciso di riprenderselo, il M5s, gruppi parlamentari in testa. I dimaniani, che i contiani stimavano in "venti-trenta, non di più", sono diventati, con crescita costante, progressiva, almeno settanta, forse cento, su 232 parlamentari, si moltiplicano, spuntano come funghi ovunque. La linea Di Maio ha vinto tre volte.

Prima ha stoppato Frattini, poi ha stoppato la Belloni, ma soprattutto ha fatto crescere, scrutinio dopo scrutinio, i voti per Mattarella, con accorta regia. E Conte? Ecco, Conte: anche lui si presenta, nel mezzo del Transatlantico, e solo a fine giornata. I suoi sorrisi sono più timidi, impacciati, affaticati. Si deve difendere. L’attacco che gli sta portando Di Maio è duro, pesante.

Conte già non controlla le truppe prima dell’inizio delle votazioni, figurarsi ora. Poi prova a difendersi: "Io avrei fatto accordi sottobanco? Ma non scherziamo, io non faccio schifezze né giochi delle tre carte. Ho trattato su mandato di Letta e Speranza con Salvini. La mia lealtà è sempre stata indubbia". Nel Movimento Conte è ormai sotto piena accusa e in molti non si fidano più di lui. La “tendenza“ Di Maio è sempre più forte e più consistente. Non solo perché il partito “mattarelliano“ è esploso. Il pasticcio nato sulla candidatura Belloni, gestita in malo modo da Conte, in asse con Salvini, e stoppata da Di Maio – in asse con Renzi – come già quella su Frattini rendono il leader sempre più in bilico.

E anche se è lo stesso Conte a dire che "arriverà il momento per i chiarimenti interni" e invita tutti i suoi esponenti a rispondere "non al leader di turno ma alla comunità degli iscritti".

Prova anche ad intestarsi l’elezione di Mattarella che "è stato fatto crescere nella nostra comunità giorno per giorno", ma il tentativo è patetico.