Due anni fa il V-Day. I primi vaccini, le code e la rinascita. Ma la Cina fa paura

Tra il 2020 e il 2021 arrivò in Italia l’antidoto al virus. Pechino toglie restrizioni e quarantena: ripartono i contagi. Malpensa riattiva i tamponi (su base volontaria) per chi arriva

Operatori della polizia

Operatori della polizia

Pechino, 28 dicembre 2022 - Tre anni fa cominciava tutto: la prima allerta mondiale a reti unificate della storia, i convogli militari caricati di corpi, l’angelus del Papa in una San Pietro vuota. Esattamente due anni fa allo Spallanzani di Roma arrivava, scortato, il furgone con 9.750 dosi di vaccino, e come manna dal cielo postnatalizia aspettavamo il Vaccine Day: tutto, presto, sarebbe finito. L’anno scorso in questi giorni eravamo in fila per le terze dosi, chi stanco, chi speranzoso.

Oggi dalla Cina arriva la notizia che nelle prime tre settimane di revoca delle misure straordinarie di lockdown si sono infettate 248 milioni di persone: un numero impressionante, se non fosse che niente suona neanche più fantascientifico, o distopico, o chissà che. Da tempo abbiamo superato la soglia simbolica che consente di interpretare gli eventi, semplicemente non ne possiamo più. Poi la guerra, l’inflazione e la speculazione sulle materie prime hanno dato la botta di grazia alla capacità d’astrazione.

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Chissà se un giorno ci renderemo conto veramente di cosa è accaduto in questi tre anni. Se penso al dicembre del 2019, alla ricostruzione minuto per minuto che ne fa David Quammen in "Senza respiro", lui che in "Spillover" nel 2012 aveva previsto tutto (tutto), e di nuovo nei minimi dettagli (scrivendo che la comunità scientifica sapeva che prestissimo sarebbe avvenuto uno spillover, ossia il passaggio di un coronavirus ad alta diffusione da un pangolino, o da un pipistrello, a un essere umano, e che sarebbe accaduto in un mercato del Sudest asiatico, oppure della Cina, dove grande era la promiscuità tra umani e specie animali macellate sul posto), se penso che tre anni fa, esattamente in questi giorni, vari scienziati interrompevano le vacanze natalizie e si telefonavano da un capo all’altro del pianeta dopo aver ricevuto strane mail o sms nei quali comparivano pervicaci forme di polmonite bilaterale acuta resistente ai trattamenti, e nei quali qualcuno diceva di aver isolato una nuova sconosciuta forma di coronavirus, e se penso che tre anni ragionevolmente possono essere considerati un tempo discretamente lungo, con la stessa ragione posso affermare di aver personalmente operato una sorta di gigantesca rimozione, che il tempo della mia psiche si è contratto in una specie di unico informe presente senza slancio e senza energia pronto a risucchiare ogni evento nell’attesa che qualcosa di ormai indefinito finisca, e finendo torni a sistemare tutto. Cosa poi sia questo tutto, chi lo sa.

È capitato mettendo un po’ d’ordine tra le foto sul cellulare. Per caso mi imbatto in quelle del giorno di Natale del 2020. Ce n’è una dell’autocertificazione (non mi ricordavo neanche cosa fosse, sparita come la app Immuni mai decollata – avrebbe docuto tracciarci tutti : e che sarà dismessa dal 31 dicembre), e alcune a casa dei miei genitori. In tutto eravamo sei adulti e due bambini piccoli. Avevamo predisposto due diversi tavoli. Tutti noi adulti, a tavola, indossavamo le mascherine, che erano diverse da quelle Ffp2 che usiamo adesso.

Come facevamo a mangiare, con addosso la mascherina? Come parlavamo? Cosa pensavamo? La verità è che non ricordo niente, ho rimosso ogni cosa, e sì che una giornata così folle sembrerebbe difficile da dimenticare. E a Capodanno di quell’anno cosa ho fatto? Ho avuto la tentazione di andare a scoprirlo scorrendo le foto. Poi no, non voglio saperlo. Chi lo sa se c’è davvero stato, quel Capodanno lì, o se per un salto siderale non siamo approdati direttamente a quello che sta per arrivare. E quello che sta per arrivare, tra qualche anno sarà stato rimosso a sua volta?

Quanti anni passeranno perché non avrò più paura di andare a guardare vecchie fotografie? Finché sarà tutto finito? O è già tutto finito? Non è ancora finito? A dare retta a Quammen il concetto di fine non ha più molto senso. Se è così allora siamo dentro un nuovo inizio. Se è così allora la nostra cecità deve essere quella dei pionieri, tutta questa fragilità il loro cieco coraggio.