Draghi striglia i big dei vaccini: basta scuse. Ecco dove si possono produrre in Italia

Il ministro Giorgetti: pronti a finanzarie un polo pubblico-privato. Ma servono i bioreattori e molti mesi di preparazione

Il premier Mario Draghi in videoconferenza al Consiglio Europeo (Ansa)

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L’obiettivo: produrre vaccini in Italia. E infatti nell’esordio al Consiglio Europeo, vertice straordinario in videoconferenza, il premier Mario Draghi usa parole severe e chiede cose precise: accelerare anche producendo in casa, mentre "le aziende che non rispettano gli impegni non dovrebbero essere scusate". Tanto che l’ex numero uno della Bce ha proposto un blocco delle esportazioni per impedire di vendere le dosi all’estero se non bastano quelle della Ue. "Massima disponibilità di strumenti normativi e mezzi finanziari", ci mette la faccia ieri a metà pomeriggio il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, dopo due ore di incontro con il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. Che porge la mano: "Siamo pronti a collaborare".

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E si lavora a costruire un polo nazionale pubblico-privato, per dare una svolta, sognando l’indipendenza. Quindi lo Stato punta su un’industria d’eccellenza che però fino ad oggi su questo mercato globale era rimasta piuttosto ai margini. Si parla di riconversione ma anche di nuovi stabilimenti. Ma a quell’ora abbiamo già la certezza di essere rimasti molto indietro. Pfizer fa sapere di aver individuato e avviato trattative con 11 aziende che hanno stabilimenti in Europa per ampliare la produzione del vaccino, la mappa porta soprattutto in Germania e in Svizzera. Nel frattempo dalle stanze del Mise la discussione esce raddrizzata e incanalata sull’unica vera domanda, trovare i siti produttivi, dopo aver discettato per settimane di brevetti e licenze, inutilmente Scaccabarozzi metteva in guardia: non è quello il problema.

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Il problema ad esempio è il tempo. Ci vogliono mesi per prepararsi. Ci vogliono più bioreattori, e il governo valuta di aumentarne il numero. Quindi oggi su cosa possiamo contare? I punti di questa mappa virtuale sono sempre gli stessi. Fanno rotta su Rosia (Siena), la casa della multinazionale Gsk. Con un vero progetto governativo, potrebbe produrre e confezionare il vaccino Johnson & Johnson, ormai vicino al via libera dell’Fda americano. Intanto ReiThera a Castel Romano (Roma) punta ad avere l’ok definitivo alla produzione del Grad-Cov2 entro settembre e punta a garantire fino a 100 milioni di dosi all’anno, anche grazie a un finanziamento del governo. L’azienda può contare su cinque bioreattori e in teoria potrebbe produrre sia il vaccino di AstraZeneca che quello di J&J o di Gamaleya.

Qui ci sono spazi e impianti per un processo completo, dal laboratorio alla fiala. Ancora: tra i protagonisti c’è l’Irbm di Pomezia (Roma), che con l’università inglese di Oxford ha messo a punto il vaccino AstraZeneca e oggi collabora con l’azienda anglo-svedese che lo produce.

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L’assessore alla Sanità del Lazio ha poi citato la Thermo Fisher Scientific di Ferentino (Frosinone) tra i nomi che potrebbero entrare nella corsa. L’industria farmaceutica, gioiello italiano, è anche il primo settore industriale della regione. Dove si concentrano aziende che già si occupano di infialare le dosi. Come la Catalent che ad Anagni (Frosinone) oggi lavora per AstraZeneca. O l’Haupt Pharma di Latina. L’amministratore delegato Paolo Abbate chiarisce: "Ci occupiamo dell’ultima parte, l’infialamento. Contiamo di partire tra novembre e dicembre. Potremmo arrivare a 80 milioni di pezzi all’anno. Il nostro reparto può confezionare entrambi i vaccini che sono sul mercato, sia AstraZeneca che Pfizer".

Per questo è stato fatto un investimento di 15 milioni. Ma potreste anche convertirvi alla produzione? "No, quella non è nemmeno una prospettiva futura – chiarisce l’ad –. A ciascuno le proprie competenze". Ma lo sforzo tocca anche altri protagonisti, meno sotto i riflettori ma altrettanto decisivi. Come l’Ima, colosso bolognese, già in campo per la produzione di mascherine. Il presidente Alberto Vacchi s’impegna ora a dimezzare i tempi sulle macchine dedicate alla confezione delle dosi: saranno prodotte in 7 mesi.