Quirinale, Draghi presidente e patto di governo. "Solo così noi peones lo voteremo"

Qualsiasi intesa sull’attuale premier passa anche per un accordo blindato sul nuovo esecutivo. Le forze politiche guardano a un possibile "dopo": Cartabia o Colao a palazzo Chigi, pochi spostamenti

Roma, 21 gennaio 2022 - "Vorrei vi fosse chiara una cosa – sbotta il giovane ma tosto deputato dem col capocorrente – se i nostri capatàz pensano di farci votare Draghi al buio, senza un pacchetto già chiuso sul nuovo governo, con relativi posti e programma, che ci garantisca la durata della legislatura fino a scadenza naturale, avranno amare sorprese. Nessuno ci potrà impedire di affondare la candidatura di Draghi, nell’urna. Ci ribelleremo. E, dato che vi sono rimasti tre giorni, è ora vi diate una mossa!". La conversazione, intercettata sotto la tensostruttura bianca che dovrebbe proteggere il cortile d’onore di Montecitorio dal freddo, riscuote un’ola di irrefrenabili consensi tra i 5 Stelle.

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Insomma, senza un nuovo governo, già chiuso e fatto uscire sui giornali con tanto di nuove caselle e, soprattutto, credibile, per nomi (premier, ministri, etc.) e per larghezza della maggioranza che dovrà sostenerlo, la candidatura di Draghi "rischia di fare una brutta fine", convengono i peones di Montecitiorio, pronti a ribellarsi ai loro capi (capigruppo, segretari di partito, leader).

L’impresa, oggettivamente, non è facile. Il nuovo governo che dovrebbe assicurare, con l’ascesa di Draghi al Colle, la continuità dell’azione dell’esecutivo e la stabilità della legislatura, è ancora tutto in alto mare. Al netto del fatto che il mare magno delle truppe parlamentari stellate mette mano alla pistola se solo sente il nome di Draghi come presidente della Repubblica, e che Salvini vorrebbe lasciarlo dov’è, a palazzo Chigi, mentre Berlusconi non vuole aprirgli la strada, non è ancora chiaro se, a succedergli, potrebbe essere un tecnico (Vittorio Colao oggi è in pole, seguito da Marta Cartabia) oppure un politico.

In questo caso, paradossalmente, ha più chanches un dem (Lorenzo Guerini in pole, seguito a ruota da Dario Franceschini o il sogno Paolo Gentiloni) che un esponente del Movimento 5 stelle (Luigi Di Maio) o, tantomeno, un leghista (Giancarlo Giorgetti). La sola cosa certa è che, invece, il nuovo governo sarebbe zeppo di politici – come ha chiesto, per primo, Salvini, per l’entusiasmo di Renzi, ma anche per il consenso, seppur implicito, di Letta – e che molti tecnici, peraltro tutti scelti da Draghi (Cingolani, Giovannini, Bianchi, Messa, anche la Lamorgese) dovrebbero fare le valigie e tornare alle loro occupazioni precedenti. Si salverebbe giusto Franco, per assicurare continuità al Ministero dell’Economia, e la Cartabia, sempre che non diventi lei, premier. Infatti, ad oggi, è più facile che una donna faccia il presidente del Consiglio che della Repubblica.

Detto che la Lega vuole fortemente il Viminale (per Molteni, giura Salvini) e che gli altri partiti farebbero a gara per piazzare i loro uomini nei dicasteri chiave, sarebbe di certo pieno di donne, il nuovo governo. Un partito come il Pd di Letta, per dire, ne vorrebbe piazzare almeno due sui tre posti che, di diritto, gli spettano (forse pure di più se non avesse il premier). Non a caso, i più restii a cambiare gli assetti attuali sono i ministri attuali che sono tutti maschi. Con Guerini inamovibile, uno tra Franceschini e Orlando dovrebbe saltare.

Ma quali sarebbero i confini politici del nuovo governo? Data per certa la presenza di Pd-M5s-LeU, tre partiti che di mollare il governo non hanno alcuna intenzione, i confini a destra restano più sfumati. Fratelli d’Italia resterebbe all’opposizione e la Lega al governo, dentro Forza Italia potrebbe consumarsi una frattura, dai contorni drammatici, tra gli attuali ‘ministeriali’ e l’ala filo-leghista oltre che con i berluscones doc. In ogni caso, se già è complicata l’impresa di mandare Draghi al Colle, a maggior ragione lo sarebbe far nascere, e subito, un nuovo governo e farlo con un vero "patto di legislatura" che arrivi fino alla sua scadenza naturale (primavera 2023). Senza il doppio accordo, però, i peones sono pronti a tutto, persino a bocciare Draghi nell’urna.