Giovedì 18 Aprile 2024

Draghi in aula: faremo la nostra parte Sì (quasi) unanime all’invio di armi

Il premier alle Camere: "La pace ora è molto difficile". Anche Fd’I vota la risoluzione unitaria. Compatti i 5 Stelle, solo Petrocelli dice no. Renziani e dem lo attaccano: lasci la commissione Esteri

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di Ettore Maria Colombo

"Per avere la pace bisogna volere la pace, e chi ha più di 60 chilometri di carri armati alle porte di Kiev non vuole la pace", dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante il suo intervento alla Camera dei deputati dove si votano le risoluzioni sull’Ucraina. Per una volta, le risoluzioni al voto sono importanti. E non solo perché c’è una terribile guerra in corso. Bisogna derogare a una legge, la 1851990 che vieta la vendita di armi a un Paese belligerante e non è che sia successo tante volte, da allora. Gli interventi militari dell’Italia post fine del Muro ci sono stati, ma la fattispecie ha un solo precedente: le armi per i curdi contro l’Isis nel 2014.

La risoluzione è unitaria sia al Senato sia alla Camera, dove però viene votata per parti separate. Abbraccia l’intero arco parlamentare che va dalle forze di maggioranza (Lega-FI-M5s-Pd-LeU-Iv e altri gruppi minori) fino a quelle di opposizione (Fd’I). Il Parlamento approva con 224 voti al Senato, su un unico testo, e con i sì che oscillano dai 459 ai 521 voti alla Camera perché si vota per parti separate, che sono addirittura ben 12 (barocchismi parlamentari). La risoluzione chiede anche il ritiro delle truppe russe e il sostegno ai negoziati. In tutto sono stati 25 i voti contrari alla Camera, nel solo punto che riguardava l’invio di armi: tra questi spiccano 3 leghisti (Vito Comencini, Matteo Micheli ed Elena Murelli), due deputati di Forza Italia (Matteo Dall’Osso e Veronica Giannone), uno di LeU (Fratoianni), oltre agli ex M5s di Alternativa, Misto e della componente Manifesta. Tra gli astenuti sull’invio di armi spicca Laura Boldrini del Pd. Astensione anche per Stefano Fassina, Erasmo Palazzotto e Maria Flavia Timbra di LeU.

Un secco no ad aiutare l’Ucraina che fa clamore, al Senato, è quello del presidente di una commissione non qualsiasi, quella degli Esteri, il pentastellato Vito Petrocelli, di cui molti gruppi (Pd e Iv in testa) chiedono dimissioni. Che, però, non arrivano. È stato l’unico grillino a votare contro quanto richiesto da Conte: trattandosi di una risoluzione, al momento non sono previsti provvedimenti disciplinari. A Palazzo Madama, poi, assenti non giustificati 8 senatori di FI, due di Iv e Lega, e si è astenuto il leghista Carlo Doria.

Draghi la mette giù dura e secca nei due interventi che tiene prima al Senato, di mattina, e poi alla Camera. "L’Italia non si volta dall’altra parte davanti all’attacco ingiustificato della Russia all’Ucraina", dice il premier, che schiera il nostro Paese al fianco degli alleati Ue e Nato e chiede al Parlamento di approvare una scelta che giudica, appunto, "senza precedenti": inviare armi a un Paese in guerra.

Draghi vuole "una condanna completa dell’orrore" e addita Putin al pubblico ludibrio sfidandolo ad ascoltare "le voci dei russi che protestano e che vengono arrestati" e di "abbandonare i suoi piani di guerra".

Certo, Draghi un ramoscello di pace lo offre ("non siamo rassegnati alla guerra, farò di tutto per cercare la pace"), ma "oggi è difficile". Molti gli applausi delle due aule: sulla solidarietà agli ucraini che combattono "con coraggio", quando ringrazia l’ambasciatore Zazo a Kiev. Draghi tocca anche la questione della crisi umanitaria, chiedendo a Bruxelles di ripensare le regole sui migranti e assicurando che l’Italia è in prima fila per accogliere i profughi, e delle conseguenze economiche delle sanzioni, che saranno intensificate.

Gli interventi dei vari leader sono presi dalla drammaticità del momento. Enrico Letta dice che "non sarà un’altra Sarajevo". Giorgia Meloni che "il nostro unico padrone è l’Italia, stiamo con il governo" (ma poi polemizza con Draghi). Matteo Salvini vuole "spalancare le porte ai migranti dall’Ucraina", ma, sottolinea, "ora è il tempo di dialogo", strada su cui insiste anche Maria Elena Boschi (Iv) e, naturalmente, tutti i 5 Stelle e la sinistra. Berlusconi, preoccupato, telefona a Draghi.

Per una volta, il Parlamento è (quasi) tutto compatto.