di Ettore Maria Colombo "Per avere la pace bisogna volere la pace, e chi ha più di 60 chilometri di carri armati alle porte di Kiev non vuole la pace", dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante il suo intervento alla Camera dei deputati dove si votano le risoluzioni sull’Ucraina. Per una volta, le risoluzioni al voto sono importanti. E non solo perché c’è una terribile guerra in corso. Bisogna derogare a una legge, la 1851990 che vieta la vendita di armi a un Paese belligerante e non è che sia successo tante volte, da allora. Gli interventi militari dell’Italia post fine del Muro ci sono stati, ma la fattispecie ha un solo precedente: le armi per i curdi contro l’Isis nel 2014. La risoluzione è unitaria sia al Senato sia alla Camera, dove però viene votata per parti separate. Abbraccia l’intero arco parlamentare che va dalle forze di maggioranza (Lega-FI-M5s-Pd-LeU-Iv e altri gruppi minori) fino a quelle di opposizione (Fd’I). Il Parlamento approva con 224 voti al Senato, su un unico testo, e con i sì che oscillano dai 459 ai 521 voti alla Camera perché si vota per parti separate, che sono addirittura ben 12 (barocchismi parlamentari). La risoluzione chiede anche il ritiro delle truppe russe e il sostegno ai negoziati. In tutto sono stati 25 i voti contrari alla Camera, nel solo punto che riguardava l’invio di armi: tra questi spiccano 3 leghisti (Vito Comencini, Matteo Micheli ed Elena Murelli), due deputati di Forza Italia (Matteo Dall’Osso e Veronica Giannone), uno di LeU (Fratoianni), oltre agli ex M5s di Alternativa, Misto e della componente Manifesta. Tra gli astenuti sull’invio di armi spicca Laura Boldrini del Pd. Astensione anche per Stefano Fassina, Erasmo Palazzotto e Maria Flavia Timbra di LeU. Un secco no ad aiutare l’Ucraina ...
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