Draghi ferma la Lega: coprifuoco alle 22 Scuola, ritorno in classe al 70 per cento

Approvato il nuovo decreto legge, ma Salvini ordina ai suoi di astenersi. L’irritazione del premier: "Non erano questi i patti"

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di Antonella Coppari

Più del merito è il metodo a indispettire Draghi. "Non erano questi gli accordi che avevamo raggiunto venerdì scorso", gela i leghisti. A nulla servono contatti, riunioni preliminari, sms e telefonate con Salvini: il premier non cambia idea. Il coprifuoco resta alle 22. Fino a quando si vedrà; sicuramente non fino al 31 luglio, giorno di scadenza del decreto varato ieri dal consiglio dei ministri. A sera quando tutto è compiuto, e il timore di un’estate a scartamento ridotto alimenta una pioggia di critiche sul tema, Palazzo chigi ci tiene a precisare che, "si faranno verifiche sui contagi e, se sono positive, si valuteranno modifiche" ben prima di quella data. Del resto, già nella riunione di governo l’ex presidente della Bce aveva chiarito: "Faremo tagliandi periodici, valuteremo non solo eventuali riaperture ma pure di posticipare o levare, se la situazione lo consente, il coprifuoco". Tanto non è basta astenuti sul dl. "Un fatto grave", il commento attribuito da alcuni a Draghi. E la lacerazione sarebbe ancora più clamorosa se lo stesso avvenisse in aula, come qualche ora prima dello strappo aveva ipotizzato Salvini.

La giornata negativa si apre con un messaggino del Matteo milanese al premier: "Spero che il divieto di circolazione slitti alle 23 e che riaprano anche i ristoranti al chiuso, altrimenti la Lega vota no". Pressing identico da parte dei presidenti di Regioni (con l’ eccezione di Zingaretti), e di FI e Iv, ma con determinazione ben inferiore a quella leghista. Impossibile raggiungere un compromesso: il cdm slitta di un’ora e un quarto, perché il presidente del consiglio riunisce i capi delegazione dei partiti. Fa sfogare la sua squadra e poi chiarisce: la decisione l’abbiamo già presa all’unanimità. Ne prende atto Giorgetti: finita la riunione parlotta con i colleghi leghisti e, mentre i ministri azzurri e la renziana Bonetti si allineano al resto della maggioranza, lui chiede di mettere a verbale che loro si astengono sul provvedimento. Voci dal governo uscite dicono che il titolare dello sviluppo Economico grondasse imbarazzo, quasi volesse smarcarsi dal leader. Ma da via Bellerio assicurano che tutto è avvenuto d’intesa con Salvini.

"Ho fiducia in te ma non potevamo votare questo decreto – chiarisce al telefono a Draghi –. Lavoriamo al prossimo decreto che entro metà maggio dovrà consentire il ritorno alla vita e al lavoro degli italiani". Se tra due o tre settimane lo stato della pandemia consentirà di rivederele regole, questo incidente sarà in parte superato. In caso contrario, rimarginare la ferita della spaccatura in Parlamento sarà quasi impossibile. Per quanto il leader del Carroccio tiri la corda senza spezzarla (esclude lo strappo più clamoroso: il sì alla mozione di sfiducia di Fd’I a Roberto Speranza che si voterà in Senato il 28 aprile) qualche cicatrice resterà.

La reazione dei partiti della maggioranza di Conte è stata fragorosa ed esasperata: "Così il capo della Lega mette in difficoltà Draghi e il governo", tuonano dal Pd e da Leu, mentre i grillini avvertono: "È la prima rottura del patto di responsabilità che ha dato vita a questo esecutivo". E d’altra parte, le poche modifiche nel decreto rispetto all’intesa di venerdì vanno nella direzione indicata dal Carroccio. Anticipata di 15 giorni la riapertura delle fiere, risultato che si intestano sia Giorgetti che Di Maio, aumentata la percentuale minima di studenti che assisteranno alle lezioni in presenza dal 50 al 75 per cento nelle zone rosse, dal 70 (invece che dal 60) al 100 per cento in quelle gialle e arancioni nonchè il numero di ospiti (da 2 a 4) che possono recarsi dal 26 aprile in un’abitazione privata. Il Carroccio avrebbe potuto raggiungere un’intesa sulla facoltà di modificare le misure alla luce dei nuovi dati a metà maggio anche senza lanciare la bomba: lo stesso dl prevede che basta un dpcm per cambiare certe norme. Ma Salvini deve porsi come elemento di conflittualità nella maggioranza per fronteggiare la concorrenza di Giorgia Meloni ma anche perché in quella direzione spinge la sua base. Ed è questo stress che inizia ad essere vissuto con fastidio non solo dai partiti della ex maggioranza giallorossa ma anche per la prima volta dal premier.