Mercoledì 24 Aprile 2024

Draghi al capolinea Il colpo di grazia dal centrodestra L’appello all’unità cade nel vuoto

Oggi alla Camera l’ultimo atto, poi il premier sale al Quirinale per rassegnare le dimissioni . Diciassette mesi per rilanciare l’Italia con una maggioranza mai vista prima, fino al repentino epilogo

Migration

di Antonella Coppari

L’ultimo colpo di scena arriva a fine giornata. A sorpresa il capo dello Stato chiede a Draghi di rinviare le dimissioni dopo il passaggio oggi alla Camera. Con una ’fiducina’ più dolorosa di tante sconfitte (95 sì che arrivano da Pd, LeU, Iv, Ipf e Iac, la non partecipazione al voto di M5s e destra di governo) l’addio alle 20 era dato per certo. Invece, c’è un supplemento di partita a Montecitorio dove il capo del governo va oggi alle nove. Un atto di cortesia istituzionale, ma anche una precisa strategia comunicativa: l’obiettivo è far emergere chiaramente la responsabilità della crisi.

A lasciare le impronte digitali a Palazzo Madama, sono i due vincitori del 2018: Conte e Salvini. Previo il necessario semaforo verde del Cavaliere. Per i due leader della destra di governo il dado era tratto già martedì notte. Troppo ghiotta per sprecarla la chance di una vittoria facile alle elezioni in ottobre, ma anche la paura, probabilmente infondata, di ritrovarsi proprio Draghi candidato premier dello schieramento avversario. Meglio evitare il rischio.

Quando prende la parola in aula, Draghi è consapevole della situazione, anche per questo evita eccessi di diplomazia. Non esagera, ma certo di schiaffoni a Lega e Cinquestelle ne dispensa. Durissimo contro il sostegno del Carroccio a tassisti e balneari: "C’è bisogno di un sostegno convinto all’azione dell’esecutivo, non di un sostegno a proteste non autorizzate, e talvolta violente, contro la maggioranza di governo". Anche più severo verso la campagna contro le armi all’Ucraina "che ha tentato di fiaccare la nostra opposizione al disegno di Putin".

I Cinque stelle ascoltano furiosi senza battere le mani una sola volta. Anche Salvini, che aveva esordito pronosticando una "buona giornata" e promettendo di "fare l’interesse dell’Italia", diventa di parola in parola in più scuro in volto. Subito dopo il discorso il leader di destra si riuniscono nella solita Villa Grande, mentre Pd e LeU moltiplicano le pressioni sui 5stelle perché votino la risoluzione di Pier Ferdinando Casini. "Udite le comunicazioni del premier, si approva. "In questo modo – spiegano – se anche si arriverà al patatrac la responsibilità sarà tutta della destra, e soprattutto il campo largo di Letta sarebbe salvo". Conte esita, i senatori ribelli lanciatissimi invece no. Sia la destra che i 5stelle si cancellano dalla discussione generale lasciando ad intervenire un solo esponente per gruppo.

Il percorso è al buio pesto, il nervosismo si impenna. Ma nel salone Garibaldi gremito circola ancora l’ottimismo, finché alle 14.30 prende la parola il capogruppo leghista Romeo, ed è una doccia gelata per tutti. Non solo conferma la richiesta dell’espulsione di M5s dal governo, ma reclama anche un cambiamento radicale della squadra (in primis vuole la testa di Lamorgese e Speranza) e dei programmi. Proposta che Calderoli mette nero su bianco in una risoluzione parlamentare. Licheri, per i 5stelle, lascia invece la porta socchiusa chiedendo al premier "di dare dignità alle richieste grilline". Suona il time-out in aula. La residua speranza che Berlusconi si smarchi viene delusa a stretto giro:il centrodestra resta unito. Mattarella interpella i leader, Draghi pure. Franceschini martella Conte e lo stesso fanno il segretario del Pd, Speranza improvvisando un vertice con il capo pentastellato al Senato. Tutto sembra ancora possibile, anche se improbabile: dal voto di fiducia di Lega e FI, a quello del Movimento.

Poi una laconica nota della destra, dopo un colloquio tra Salvini e Meloni, chiude i giochi: voteremo solo la nostra risoluzione. Nella replica un Draghi furioso si scaglia contro M5s annullando cosi la già esigua possibilità di un voto pentastellato diverso da quello della destra. Il voto lo conferma, con i grillini che restano in aula ma solo per garantire il numero legale. La giornata finisce con un addio: quello di Mariastella Gelmini a Forza Italia, dopo un furibondo litigio con Licia Ronzulli.