Dove va l’Italia lo decidono i referendum

Raffaele

Marmo

Sappiamo bene quanto abbiano segnato svolte storiche i voti sul divorzio o sull’aborto, come anche, per altri versi, quello sul nucleare e addirittura quello sulla "preferenza unica" di inizi anni Novanta. I primi due, in maniera particolare, hanno determinato cesure politico-morali, sociali, culturali, di costume, tali che ancora oggi ne avvertiamo tutta la potenza in qualche modo rivoluzionaria sia per l’oggetto della consultazione sia per il tempo della stessa.

Ma, sia pure in altri e meno pervasivi ambiti della vita dei cittadini, anche il no al nucleare continua a produrre conseguenze, come possiamo vedere proprio in questi mesi, sul piano dell’approvvigionamento energetico del Paese. E analogo discorso vale per una scelta, come quella sulla preferenza unica, apparentemente più per addetti ai lavori, ma che, al contrario, è stata uno degli atti fondativi della Seconda Repubblica.

Non sappiamo, nel caso si arrivi al voto, come saranno "sentiti" i quesiti di oggi e quale potrà essere la partecipazione al dibattito e alla consultazione dell’opinione pubblica. Ma, se consideriamo le poste in gioco, non possiamo non rilevare come si tratti, anche in questa occasione, di "oggetti" di assoluta significatività. Lasciando da parte la liberalizzazione della cannabis (che sembra rispondere a un riflesso condizionato del mondo radicale, più che a una esigenza della società, anzi), questo vale innanzitutto per l’eutanasia: come l’aborto per la nascita, così il fine vita per la morte, si tratta di una domanda che interroga la coscienza di ognuno senza mediazioni.

Ugualmente dirimenti, sia pure meno laceranti, i referendum sulla giustizia che di fatto rilanciano precedenti scelte popolari tradite del passato: a cominciare dalla responsabilità civile dei magistrati, per arrivare alla separazione delle carriere, alla valutazione della professionalità di giudici e pm e alla carcerazione preventiva, tutti aspetti mai risolti dalla politica sui quali c’è da sperare che finalmente il popolo svolga una "supplenza" senza successivi tradimenti.