Giovedì 18 Aprile 2024

Donne, alleati, primarie: il Pd litiga su tutto. E Orlando spacca il partito

Base riformista contro il ministro del Lavoro: "Noi renziani? La sua intervista a QN è un atto di guerra". Zingaretti nega di volersi dimettere

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Galeotta fu l’intervista che l’attuale ministro al Lavoro, Andrea Orlando, ha rilasciato alla direttrice della Nazione, Agnese Pini, intervista piombata come una bomba in un campo minato. "È stato un atto di guerra – dicono, in coro, esponenti di peso di Base riformista, diversi sindaci, altre aree interne –, ci addita come il nemico interno, le quinte colonne di Renzi. Ora basta. Se vogliono la guerra, avranno la guerra".

Alessandro Alfieri, coordinatore nazionale di Base riformista, con alle spalle una carriera da diplomatico (vero), la mette giù più soft, ma il concetto non cambia. "Per ora – spiega a QN – il governo va messo in condizione di combattere il Covid, la crisi e lavorare al Recovery Plan. Poi bisogna lavorare pancia a terra per vincere le comunali. Prima o poi, però, dovremo aprire una grande discussione, seria e profonda, sull’identità del Pd e sul suo ruolo futuro, coinvolgendo tutta la comunità del popolo democratico. Noi al profilo riformista non rinunceremo mai. Anzi, vanno sfidati i mondi di Italia Viva, Azione, +Europa sul nostro terreno".

Traduzione: Base riformista, che la prossima settimana terrà una sua – importante, per le decisioni che verranno prese – assemblea di area, si appresta di fatto a chiedere un congresso anticipato. Tra i nomi, c’è l’idea di lanciare la candidatura del governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini contro la ricandidatura di Zingaretti (che ieri ha smentito seccamente di volersi dimettere o voler mollare). Forse da solo Bonaccini, o in ticket con la segretaria dem della Toscana, Simona Bonafé, "donna, giovane, con un profilo riformista alto e ben conosciuta nell’ambito del Pse" (Bonafé è vicecapogruppo del Pse al Parlamento Ue, ndr), dicono fonti di Base riformista che, però, ovviamente, tifano perché scendano in campo i sindaci (il bergamasco Giorgio Gori su tutti).

Ma sono in pista, quando mai si terrà il congresso anticipato – e quindi le nuove primarie – del Pd, forse in autunno, anche altre candidature: Deborah Serracchiani si scalda, per l’area che fa capo a Delrio; Giuditta Pini per i Giovani Turchi. Troppe candidature potrebbero però indebolire il fronte anti-Zinga e permettere al segretario un nuovo trionfo. Peraltro, anche su una linea politica che ha il pregio di essere chiara, quella propugnata e teorizzata da Bettini: alleanza organica con M5s e LeU e Giuseppe Conte (ieri, però, da Zingaretti mai citato…) leader di una coalizione progressista.

Infine, a esacerbare gli animi c’è il tema dei posti. Le scelte di Zingaretti sulla rosa che doveva andare al governo, hanno provocato malumori a non finire. Ieri, nella Direzione convocata dal segretario – un primo tempo che avrà una coda lunedì prossimo – non se n’è parlato. "Abbiamo discusso solo di donne…" gemono tanti dem. Ma anche sulle donne, e sul loro ruolo, non si trova la quadra.

Si dice che Zingaretti, all’Assemblea nazionale che si terrà sotto forma di webinar il prossimo 13 e 14 marzo, voglia proporre un vice-segretario donna, come ha promesso, ma che la scelta cadrebbe su Cecilia D’Elia che viene dalla sua stessa filiera (la Fgci degli anni Ottanta). L’altro vicesegretario potrebbe essere, sì, donna, ma di un’altra area interna: la Serracchiani o l’ex ministro Paola De Micheli. La quale, ieri, ha detto, papale papale, che "un ministro non può fare anche il vicesegretario". Ma Andrea Orlando – cui De Micheli si riferiva senza citarlo – non ha intenzione di dimettersi. La guerra interna è solo iniziata.