Mercoledì 24 Aprile 2024

Don Milani, 100 anni dalla nascita. Quell’abbraccio ai poveri che irritava i conservatori

La missione del priore di Barbiana contro il perbenismo era colmare “l’abisso di ignoranza”. La sua doppia fedeltà al Vangelo e alla Costituzione: sino alla fine a fianco degli ultimi

Don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967), con i suoi ragazzi alla scuola di Barbiana

Don Lorenzo Milani (Firenze, 27 maggio 1923 – Firenze, 26 giugno 1967), con i suoi ragazzi alla scuola di Barbiana

Barbiana (Firenze), 27 maggio 2023 – Oggi si apre a Barbiana il Centenario della nascita di don Lorenzo Milani. La sua testimonianza, davvero singolare, merita di essere ricordata e liberata da tanti equivoci e strumentalizzazioni. Desiderio di Dio e sete di giustizia trasformano il rampollo irrequieto di una delle famiglie più benestanti, colte e cosmopolite della Firenze degli anni Trenta in un sacerdote che a 20 anni indossa la talare e senza mai spogliarsene abbraccia i poveri per donare il suo raffinato sapere, con qualche scapaccione, ai figli analfabeti di operai e contadini.

Quando esce dal seminario Milani è un prete come tanti. A Calenzano insegna catechismo, confessa, organizza partite di calcio. Ben presto però avverte la fatica di evangelizzare un popolo che non riesce a decifrare la Parola. Capisce che per amare i poveri non basta assicurare un lavoro, un giusto salario, una casa, occorre colmare "l’abisso di ignoranza", e prima di un’ora di religione serve un’ora di educazione civica.

Fare scuola popolare diventa così l’asse portante di un ministero che educa alla libertà di cristiani consapevoli e cittadini sovrani. I suoi richiami a una fede vissuta per scelta e non abitudine, la radicalità delle sue posizioni in favore del diritto di sciopero e contro il lavoro minorile appaiono provocazioni imperdonabili ai conservatori, sia negli ambienti ecclesiastici che politici. Da qui le incomprensioni, l’ostracismo fino all’esilio nella sperduta parrocchia di Barbiana. Ma tra i poveri montanari del Mugello sovverte le aspettative di chi pensava di tacitarlo e si fa voce potente, ancora capace di scuotere le nostre coscienze. Fino alla morte, a soli 44 anni, don Lorenzo resterà un prete obbediente "innamorato della Chiesa anche se ferito", come disse nel 2017 Papa Francesco a Barbiana, riconoscendo nella sua vita "un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa".

In questo anno milaniano, il Comitato Nazionale che presiedo vuole far parlare don Milani lungo la sua doppia fedeltà al Vangelo e alla Costituzione. A Firenze, con la preziosa collaborazione dell’arcivescovo Betori, faremo dialogare don Milani con la chiesa fiorentina di quegli anni, in cui si incrociano personalità come monsignor Dalla Costa, don Bensi, Ernesto Balducci, padre Davide Maria Turoldo, don Facibeni, monsignor Bartoletti, Fioretta Mazzei, Giorgio La Pira. Come non vedere nella scelta di restare fino alla fine accanto agli ultimi, nella coerenza del suo pacifismo un esempio di quella chiesa in uscita nelle periferie esistenziali e sociali, di cui parla Papa Francesco? Quanto alla Costituzione, Milani ci interpella sulla dignità del lavoro, sulla funzione della scuola, sul significato della giustizia, sul valore della pace.

Tutte questioni che ha affrontato con i suoi ragazzi: "Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario del motto fascista “Me ne frego”".

La sua pedagogia disturba il perbenismo di un’Italia bigotta e reazionaria perché critica l’individualismo, le raccomandazioni, il consumismo, l’omologazione delle coscienze e mette al primo posto l’amore per la politica, l’impegno per gli altri, la cura dei beni comuni. Sulla scuola e la sua funzione, il maestro di Barbiana ci consegna un’eredità preziosa. Basta leggere Lettera a una professoressa , che con lucidità smascherava le ambiguità di una scuola dell’obbligo che nei fatti continuava a escludere i figli dei contadini e degli operai. Ma se perde i poveri, "non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile".

La scuola italiana è molto cambiata, ma forse non quanto si augurava Milani. I tassi di dispersione scolastica sono tra i più alti d’Europa e ancora troppo modeste le percentuali di laureati. La povertà educativa tocca quasi un ragazzo su quattro. E il principio del merito soppianta quello della giustizia. Figlio del privilegio, Milani sapeva bene che non c’è merito nel talento, dono del caso e di particolari condizioni economiche e sociali. Per questo ripeteva "non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali" e invitava gli insegnati a dare più tempo, più ascolto, più attenzioni agli alunni con minori capacità. Una scuola che non scarta nessuno è solo il sogno di un prete visionario? Non lo credo. Penso invece che don Milani ci affida una lezione che non va banalizzata. Il suo "non bocciare!" non è un invito a promuovere tutti. È la richiesta di guardare ai diversi bisogni educativi di ciascun ragazzo. Devono farlo le famiglie e deve farlo un corpo docente che avverta l’orgoglio e la responsabilità di un compito essenziale alla crescita del Paese. La sua pedagogia invita a prendere posizione. Come quando, nel 1965, nella Lettera ai cappellani militari della Toscana, difende l’obiezione di coscienza al servizio militare che i cappellani avevano definito, in un comunicato a La Nazione, estranea al comandamento cristiano dell’amore e insulto alla Patria.

Milani non ricorre al Vangelo – troppo facile, dice, dimostrare che Gesù era contrario alla violenza anche in caso di legittima difesa – e cita invece la Costituzione contro la sacralizzazione della guerra e un patriottismo distorto: "Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri".

Parole che gli costeranno un processo per apologia di reato, concluso dopo la morte. Da allora l’obiezione di coscienza non è più reato, la leva obbligatoria è stata abolita e la Chiesa cattolica nega la legittimità della guerra giusta, mentre conflitti atroci continuano a devastare tante parti del mondo. Forse vale la pena chiederci se Milani avesse davvero torto.

*Presidente Comitato Nazionale centenario don Milani