Mercoledì 24 Aprile 2024

Don Mazzi, i miei 90 anni ai confini del male

La lotta alla droga, i baby killer, Erika che si sposa, Pietro Maso "dal cuore di pietra": il sacerdote racconta la sua vita tra delitti e castighi

Don Antonio Mazzi è nato a Verona il 30 novembre del 1929

Don Antonio Mazzi è nato a Verona il 30 novembre del 1929

Milano, 1 dicembre 2019 - Don Antonio Mazzi ha festeggiato ieri 90 anni. La giornata è iniziata con una gradita sorpresa: "I ragazzi mi hanno svegliato con in mano il loro regalo… Un limone bonsai molto, molto bello" dice il prete "contro", nato a Verona nel 1929. I ragazzi di cui parla sono i 25 ospiti di Cascina Molino Torrette, a Milano, la sede storica della comunità Exodus che don Mazzi ha fondato nel 1984. Allora parco Lambro era luogo di spaccio e morte. Fino a quando lui lo ha ripulito, trasferendosi proprio lì, con in testa l’idea di "recuperare gli irrecuperabili". Per vincere la droga si inventa esperienze itineranti, utilizza lo sport, la musica e il teatro. Ne salva a migliaia di giovani, portando avanti un impegno che era iniziato quando aveva 25 anni. Adesso Exodus ha 40 sedi in tutta Italia e affronta il variegato mondo del disagio sociale: dipendenze ma anche carcere, terrorismo, Aids, emarginazione sociale.

Com’è cambiato il fenomeno della droga giovanile? "Oggi incontro i figli della media borghesia. Non sono cattivi ma viziati sì. Sono immaturi e hanno le spalle fragili perché nessuno ha mai detto loro di no. Provengono da un’infanzia senza regole. Colpa anche di papà che non sanno più cos’è la paternità, abdicando al ruolo di insegnare diritti, doveri e sconfitte. Conosco giovani che a 16 anni hanno già fatto esperienze di alcol, droghe leggere e pesanti, e sostanze che neppure conosciamo. Hanno provato tutte le porcherie del mondo e hanno tentato il suicidio anche se a casa non c’erano problemi. Questo ti disarma. Con loro dobbiamo trovare un metodo diverso. Non le urla ma l’attenzione. Bisogna convincerli che c’è qualcuno che vuole a loro bene. E che la bontà, come la fatica, non è ’sfiga’ ma conquista".

I ragazzi che incontrava a Parco Lambro negli anni ’80 erano diversi per quale motivo? "Avevano sofferto ed erano stati umiliati ma avevano più carattere. Erano duri però quando cambiavano cambiavano. Quelli di oggi fai più fatica a portarli ’a casa’".

Parco Lambro è ripulito ma adesso c’è l’emergenza Rogoredo nel capoluogo lombardo, una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa. Si sta procedendo nella direzione giusta? "Quando sono andato lì un mattino sono rimasto sconvolto. Ho trovato un 14enne che voleva farsi di eroina. Mi ha spiegato che aveva già provato tutte le droghe ’borghesi’ e gli mancava l’esperienza di quella ’proletaria’. Penso che con ragazzi così giovani non serva mettere troppa polizia in giro. Ci vogliono un paio di camper e operatori che stiano lì giorno e notte, come abbiamo fatto noi a Parco Lambro. In due o tre mesi si risolve il problema".

Lei si è occupato di Erika De Nardo, che ha ucciso la madre e il suo fratellino, e di Milena De Giambattista, una delle ragazze che si macchiarono dell’omicidio della suora in Valchiavenna. Cosa può dire? "Erika e Milena ne sono uscite fuori bene. Per Erika che si è sposata ha avuto un grande ruolo il padre, che l’ha perdonata subito e l’ha seguita con pazienza e attenzione. Milena proveniva da una famiglia disastrata ed è riuscita a farcela da sola, con la sua volontà. Oggi lavora e convive con un bravo ragazzo".

Chi è rimasto lo stesso? "Ho avuto la possibilità di incontrare Pietro Maso e mi sono sentito male. Per me lui non è cambiato per niente, gli è rimasto un cuore di pietra. Ho tentato di cambiarlo ma non ce l’ho fatta".

E Fabrizio Corona che ha incontrato al carcere di Opera? "Non si capisce bene cosa abbia dentro. Con lui mi sono solo illuso".

Sogni nel cassetto? "Vorrei veder aboliti i carceri minorili. I ragazzi che sbagliano non devono essere mandati dietro le sbarre ma in comunità a scontare la pena. La mentalità carceraria non solo non funziona ma li peggiora. Non ha molto senso metterli assieme ad altri 40 ragazzi che ne hanno combinato di ogni".

E poi? "Il secondo grande desiderio è un cambiamento radicale della scuola secondaria di primo grado. La fase fra i 10 e 14 anni è quella più delicata e importante. Ma noi li incolliamo ai banchi per cinque o sei ore, come se andassero a scuola solo con la testa. Invece gli adolescenti ci vanno anche con tutto il loro corpo che in questa fase ’esplode’. Bisognerebbe che almeno un’ora al giorno facessero educazione fisica che vale più di un’ora di religione e lo dice un prete. Ci vorrebbero solo un paio di lezioni frontali al giorno. Tutto il resto dovrebbe essere dedicato ad attività che sviluppino corpo, sentimento ed emozioni".