Si è dimesso Domenico Giani, capo della gendarmeria vaticana

Per 20 anni angelo custode dei pontefici, da Wojtyla a Papa Francesco. Lascia dopo l'ultima fuga di documenti. Ma il Vaticano: "Non ha responsabilità oggettive"

Papa Francesco con Domenico Giani, capo della sicurezza in Vaticano (Ansa)

Papa Francesco con Domenico Giani, capo della sicurezza in Vaticano (Ansa)

Città del Vaticano, 14 ottobre 2019 - In tanti volevano la sua testa, in primis il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello stato della Città del Vaticano, e così, al primo casus belli, i nodi sono venuti al pettine. Papa Francesco ha accettato oggi le dimissioni del Comandante della Gendarmeria vaticana, l’aretino Domenico Giani, per vent’anni angelo custode dei pontefici, da Wojtyla, a Ratzinger, infine a Francesco. Ammirato da tanti e odiato da altri per il suo pugno di ferro in guanto di velluto, Giani è stato capo della sicurezza vaticana ed anche delle indagini nel piccolo stato. Ha gestito i casi scottanti di Vatileaks uno, con l’arresto del maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, e Vatileaks 2, con il fermo di monsignor Vallejo Balda e Francesca Chaouqui, divulgatori di documenti riservati alla stampa.

Ma è su quello che tutti già ribattezzano come il Vatileaks 3 che Giani interrompe la sua parabola in Vaticano, forse come prima vittima di una nuova guerra dentro le mura leonine che porterà ad altri sviluppi. Sabato, papa Francesco, infuriato, ha disposto una indagine interna per fare chiarezza su chi abbia divulgato all’esterno il documento, firmato da Giani, che ha disposto la sospensione di cinque funzionari della Segreteria di stato vaticana, un monsignore e quattro laici, implicati, ma senza imputazioni per ora, nelle indagini su disinvolti investimenti finanziari con i fondi della Segreteria di stato, in particolare i soldi dell’Obolo di San Pietro.

A Giani è stato imputato l’omesso controllo sulla fuga di notizie dell’avviso, un testo con tanto di foto segnaletiche dei cinque sospesi, che doveva servire come strumento interno a gendarmi e guardie svizzere. La sua pubblicazione da parte dell’Espresso, invece, è stata vista dal Papa come un “peccato mortale” perché si è lesa “la dignità” di persone presunte innocenti, finite nel tritacarne mediatico. Giani si è offerto così di rimettere il mandato per non ledere l’immagine del Vaticano e il Papa ha accettato il suo gesto lodandone, nel momento del congedo, il lungo servizio.

Certo, per Giani, destinato ora ad altro incarico, c’è amarezza. Per venti anni ha garantito la sicurezza di tre Pontefici, obiettivi sensibili del terrore mondiale, fatto non poi così scontato se si pensa ai precedenti e ancor di più alle missioni delicate di Bergoglio, che come Pontefice è voluto andare in contesti di guerra, come la Repubblica Centrafricana. Oltre che grande pianificatore di viaggi ad alto rischio, Giani, fortemente cattolico, si preoccupava anche spesso di piccoli e grandi casi umani facilitando l’accesso alla carezza e alla benedizione del Papa di piccoli e malati.

Il comunicato della sala stampa ha chiaramente riconosciuto che l’ormai ex Comandante non ha avuto alcuna “responsabilità soggettiva” nella fuga della sospensione e ha informato che Francesco, “intrattenutosi a lungo con lui, gli ha espresso apprezzamento per un gesto di libertà e di sensibilità istituzionale, che torna ad onore della persona e del servizio prestato con umiltà e discrezione al Ministero petrino”. E’ comunque paradossale che l’avventura vaticana di quello che è stato il laico più influente oltre le sacre stanze finisca a causa di nuovi leaks, lui che con la stampa ha sempre intrattenuto buoni rapporti senza mai passare documenti. Ora, per la sostituzione, si fa il nome del vice, Gianluca Gauzzi Broccoletti. L'eredità non è semplice. Il Papa vuole andare in Cina, tra i cristiani di Erbil in Kurdistan e in altri teatri di guerra. Per realizzare queste imprese servono doti e rapporti da fuoriclasse.