Cesare De Carlo Vent’anni dopo l’euro è quasi alla pari con il dollaro e tende a scendere ancora. C’è da preoccuparsi? Purtroppo sì. I vantaggi all’export non bastano a compensare gli svantaggi dell’import. Energia e materie prime si contrattano in dollari, sono sempre di meno e costano sempre di più. Grazie Putin. Ma i guai non sono finiti. I rincari hanno una ricaduta immediata sull’inflazione. Ricordate quando la Bce di Mario Draghi lamentava un tasso troppo basso e si augurava di arrivare "almeno" al 2%? Ebbene ora, a un anno e mezzo dall’arrivo di Joe Biden, siamo oltre l’8% sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico. Qualcuno si chiederà cosa c’entri Biden. È un keynesiano, un dirigista. Ha immesso oltre tre trilioni di dollari (un trilione: mille miliardi) in una congiuntura che non aveva necessità di essere stimolata e aveva già assorbito i 4 trilioni pompati dalla Fed prima e dopo la pandemia. Larry Summers, economista dem, aveva ammonito: scateneremo l’inflazione. Infatti è divampata virulenta. Pochi mesi dopo ha raggiunto l’Europa. Ennesimo errore del presidente Usa? Sì, gli analisti concordano. Tanta liquidità ha preceduto di qualche mese l’aggressione criminale di Putin all’Ucraina. Dunque sanzioni da una parte, controsanzioni dall’altra. E le controsanzioni – ahinoi! – si sono rivelate disastrose. Il prezzo del gas è quadruplicato. Le forniture si sono dimezzate. A rimetterci di più è stata l’Europa democratica intervenuta generosamente a difesa della vittima. Un paradosso, che non basta ancora a spiegare l’apprezzamento del dollaro se non mettiamo in conto la stretta monetaria della Federal Reserve. L’energico aumento dei tassi ha comportato un aumento dei rendimenti. Di qui maggiori investimenti dall’estero. Né li scoraggiano il calo di Wall Street e le scontate previsioni di una recessione. Nei momenti di crisi globali, Biden o non Biden, il dollaro si riconferma moneta rifugio. (cesaredecarlo@cs.com)