Martedì 16 Aprile 2024

Dimissioni choc, schiaffo di Zingaretti al Pd "L’Italia soffre e voi pensate alle poltrone"

J’accuse del segretario: "Stillicidio infinito, che vergogna". Nel mirino Base riformista ma anche gli alleati Franceschini e Orlando

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di Antonella Coppari

Rilancia e resta, o se ne va senza girarsi indietro? Questa è la domanda da cui dipende la sorte del Pd e quella della coalizione. Se il gesto estremo annunciato ieri pomeriggio da Nicola Zingaretti fosse tratto da un manuale di strategia politica, sarebbe certamente una mossa per riprendere saldamente in mano le redini del partito: vi mollo, così sarete costretti a richiamarmi ingoiando le critiche. Chi lo conosce giura invece che l’addio è vero, sofferto e definitivo. E se si guarda alla parole durissime con cui via Facebook il segretario uscente ha annunciato un passo che nessuno si aspettava ieri potrebbero avere ragione loro: "Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, di cui sono segretario. da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie quando in Italia sta esplodendo la terza ondata Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni". Quando un leader afferma di provare "vergogna" per il suo stesso partito il passo sembra senza ritorno. Sì, perché sta segando il ramo su cui siede: un po’ come se il Papa ammettesse che i suoi cardinali non hanno fede.

Zingaretti evita di fare nomi e cognomi – sarebbero troppi –, ma nel mirino ci sono certamente i dissidenti, e quindi Base Riformista (raccoglie il grosso dei parlamentari Pd), Orfini con i Giovani turchi, i capigruppo Delrio e Marcucci, il governatore Bonaccini e sindaci: "Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Ma non è bastato". Insiste: "Mi ha colpito il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali". Dall’Avvelenata non sembrano esclusi nemmeno fedelissimi come Franceschini e Orlando, al quale Zingaretti addebita le mancate dimissioni da vicesegretario, decisione che ha reso la sua situazione ancora più difficile. "Visto che il bersaglio sono io, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla presidente del partito per dimettermi formalmente. L’assemblea nazionale farà le scelte più opportune e utili". Del passo fatale aveva avvertito solo i pochi di cui si fida davvero, come Goffredo Bettini. E tra questi non c’erano i due grandi alleati di cui sopra. E d’altra parte diversi segnali, che pure negli ultimi giorni si erano moltiplicati, indicano la stessa direzione. Zingaretti si è sfogato a più riprese con gli intimi dicendosi esasperato, deluso, stanco di "fare il bersaglio", deciso a lasciare la guida del partito assunta due anni fa salvandolo così dall’estinzione, come ricorda. Ma conducendolo pure in una situazione che molti considerano subalterna ai Cinquestelle, ridotto quasi all’irrilevanza nel governo Draghi. Vero è che Zingaretti aveva soppesato con attenzione pure la scalata al vertice del Nazareno, dunque la scelta di tornare in Regione potrebbe essere irreversibile. In Regione o in Comune? Da giorni circola l’ipotesi di una clamorosa candidatura a Roma: Gualtieri, pronto a correre, ha congelato l’annuncio in attesa di capire quali fossero le intenzioni del segretario. Ma i suoi collaboratori escludono la sua presenza in campo nella capitale: il Governatore ritiene di aver assunto un impegno ferreo con gli elettori del Lazio, vuole portare a termine il mandato. Casomai non sarebbe esclusa la corsa per una terza riconferma.

Quale sarà la scelta di Zingaretti oggi forse non lo sa neppure lui. Di qui all’assemblea ci sono dieci giorni, le pressioni del partito saranno corali, unanimi e per una volta sincere. Non a caso, sia Guerini che Delrio ricordano al leader deluso che "è legittimo ci siano posizioni diverse", e che "il dibattito interno è fisiologico". Tutti sanno bene che una lacerazione ora porterebbe ettolitri di acqua al mulino di una Lega che, come dice Salvini "è dispiaciuta per i problemi del Pd, ma è impegnata a lavorare per i vaccini". Altrettanto martellanti saranno gli appelli al ripensamento degli alleati perché senza Zingaretti alla segreteria anche la sorte dell’intesa a tre sarebbe probabilmente segnata. Di qui, la telefonata con cui l’ex premier Conte gli esprime "il sostegno". Mettiamo pure che l’intenzione di partenza fosse davvero, come assicurano gli intimi, di dare "dimissioni irrevocabili": non è affatto escluso, però, che di qui alla ratifica finale Zingaretti ci ripensi. Se così non sarà, il suo partito sostituirà i 5stelle nel poco ambito ruolo di formazione politica più inguaiata. Bisognerà cercare un nuovo segretario: se si optasse per una donna, in pole position ci sarebbe Roberta Pinotti.