Detersivi, solari, palloni e bambole. Il (triste) museo dei rifiuti spiaggiati

Una guida naturalistica pugliese ha avuto l’idea di raccogliere gli oggetti di plastica in riva al mare "Dalla scatola del Dreft del 1963 al Nesquik del 1981, ora capite quanto è indistruttibile questo materiale?"

Il pugliese Enzo Suma è diventato un vero archeologo della plastica

Il pugliese Enzo Suma è diventato un vero archeologo della plastica

Rifiuti che vengono dal passato. Immagini di quello che eravamo, del consumismo degli anni Sessanta e seguenti che ora ci presenta il conto con il suo frutto più indistruttibile, a suo tempo sinonimo di assoluta modernità, e quindi utilizzato anche più del necessario: la plastica. Confezioni di ammorbidenti di trent’anni fa, palloni dei mondiali di Italia ’90, bamboline, flaconi di abbronzanti.

Ha molti meriti il progetto Archeoplastica, ideato dal pugliese Enzo Suma, che ha studiato Scienze ambientali e ora lavora come guida naturalistica nella sua Puglia. "Per anni – racconta – raccoglievo i rifiuti di plastica dalle nostre spiagge. Poi mi è capitata per le mani una crema solare che aveva ancora il prezzo in lire. Mi è venuta una illuminazione. Ho visto che era stata prodotta tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta e mi sono detto: questo può essere un modo per far capire che la plastica è quasi indistruttibile, e che per questo non va dispersa nell’ambiente".

Dall’illuminazione al cantiere delle idee. "Così è nato il progetto archeoplastica – continua Suma – che ha dato vita ad una collezione museale virtuale sul web e anche ad esposizioni in alcune mostre reali. E l’interesse è subito stato grande". Si tratta di un’idea che sarebbe piaciuta alla Pop Art ma che serve all’educazione ambientale. I pezzi catalogati e studiati sono oltre 500 e rivelano un “come eravamo“ dopo quel mitico 1958 in cui fu brevettato quel Moplen di Giulio Natta che è nell’immaginario dei ragazzi degli anni Sessanta e Settanta.

Tra i reperti c’è di tutto. Un vecchissimo flacone di crema protettiva dei primissimi anni Sessanta – un “Royal Blend Coppertone” – trovato sulle spiagge del Ferrarese. Il testo del retro, per gran parte leggibile, è completamente in inglese. Anche l’unica pubblicità d’epoca trovata di questo reperto è in inglese. Non da meno un mitico talco Felce Azzurra, anche questo anni Sessanta. E poi un detersivo Dreft trovato nella golena del fiume Po a Taglio di Po (Rovigo) da Riccardo Mancin. "Flacone perfettamente integro – spiega ancora Suma – che appare in una pubblicità d’epoca del 1963, quasi sessant’anni fa".

Significativo per la mostra anche il tappo con il marchio Moplen della Montecatini, dello stesso periodo degli altri “reperti“. "È un oggetto molto importante – sottolinea Suma – perché riporta impresso un marchio che ha segnato l’inizio dell’era della plastica. Era il 1954 quando la Montecatini iniziò la collaborazione con Giulio Natta, che scoprì il polipropilene, un materiale dalle caratteristiche eccezionali. Nel 1958 avviarono la produzione e Natta nel 1963 vinse il premio Nobel per la sua invenzione".

E che il Moplen durasse era assolutamente vero. Durava anche troppo, con il senno di poi.

La mostra virtuale dell’archeoplastica spazia tra i nostri tanti ricordi, nel nostro passato, colpendo a caso. Come quella confezione di Sole delicato del 1981. E poi ci sono altre istantanee: un Soflan, un Woolite, un Nesquik, tutti nelle nostre case già negli anni Ottanta. O un Topexan o una crema Ambra Solare anni Settanta e quella confezione di patatine con scadenza novembre 1983, che pare un oggetto di ieri. Uno ieri che è durato fino ad oggi.

Con i suoi misteri, come quello di alcuni orsetti in plastica trovati in Puglia che contenevano ammorbidente, e che dopo lunga e complessa ricerca, si è scoperto che venivano dall’Albania. O uno strano flacone a forma di gobbo, che il suo mistero conserva in sé, ma che probabilmente risale agli anni Sessanta ed è ancora integro.

Un ammonimento per tutti noi: la plastica dura decenni e quando si degrada è pure peggio perché crea le cosiddette microplastiche che vengono ingerite dagli organismi marini.

La lezione è quindi chiara: abbandonarla nell’ambiente, mai.