Giovedì 18 Aprile 2024

"Demonizzare il Cavaliere non paga più"

Il sociologo Panarari: "Anche per il Pd l’antiberlusconismo è un relitto del passato. Ma certa magistratura continua a sconfinare nei media"

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di Raffaele Marmo

"La demonizzazione di Berlusconi si è esaurita e appare oggi come un relitto del passato. È una categoria che non ha più senso nella politica italiana". Massimiliano Panarari, professore di Sociologia della politica all’Università Mercatorum di Roma, è netto, tanto che non esita ad avvisare come "lo stesso Pd, non a caso, ha dismesso l’antiberlusconismo e, anzi, Berlusconi è considerato l’interprete della parte liberal-responsabile, europeista, del centrodestra".

Eppure, è di queste ore quello che è stato considerato come l’ennesimo attacco "personale", sul piano mediatico-giudiziario, al leader di Forza Italia, con la richiesta di una perizia psichiatrica.

"Senza entrare nel caso specifico, come è doveroso che sia, mi domando se la tensione su tutta una serie di problemi interni all’autogoverno dei magistrati non faccia sì che qualcuno possa pensare di alleggerire o contrattaccare anche in termini comunicativi. Il che non sarebbe neanche una novità. Abbiamo visto che un pezzo della magistratura ha ritenuto che la comunicazione fosse un campo di intervento frequente mentre, come ci rammenta il Presidente della Repubblica, ben diverso dovrebbe essere l’atteggiamento. E, d’altra parte, è sempre in campo una malintesa idea di vacatio perenne da colmare, figlia della stagione di Mani Pulite".

Certo è sono quasi trent’anni che Silvio Berlusconi è il nemico da abbattere a tutti i costi, "anche" con quella che si chiama character assassination. Basti pensare a certi epiteti: Cavaliere Nero, Papi, Psiconano, Caimano. Da dove nasce questa degenerazione?

"Nella demonizzazione di Berlusconi confluiscono elementi tra loro diversi e come accade sempre se ne ricava una sorta di soufflé all’italiana che rischia di apparire unilaterale. Dunque, da un lato ci sono il passaggio al maggioritario e il bipolarismo nostrano: in un Paese che non aveva una tradizione di confronto basato su una dialettica anche dura ma strutturata e fondata sul rispetto dell’avversario, il bipolarismo prende una piega muscolare e diventa scontro tra nemici. E questo è un processo che si ripresenta costantemente dal ’94 in avanti da una parte e dall’altra: alla demonizzazione di Berlusconi fa da contraltare la descrizione del nemico come comunista, bolscevico, pericoloso".

L’antiberlusconismo è stato anche il collante di uno schieramento diviso e in costante conflitto interno.

"Certo, in quello che ho indicato c’è anche un’utilità strumentale di tutte le parti politiche che si legittimano con la costruzione del nemico: così, coalizioni anche molto frastagliate e litigiose al loro interno trovano nel nemico il proprio collante. Lo stesso vale per l’anti-comunismo, ma è significativo notare che nel caso del centrosinistra c’è stata una personalizzazione del nemico".

Una differenza non da poco: come si spiega?

"In parte è dovuta allo stesso Berlusconi che scende in campo con un partito personale. In secondo luogo alla sua figura, che è così esondante e capace di occupare quasi interamente lo spazio pubblico italiano che diventa il coacervo e il destinatario di tutta una serie di azioni antitetiche che lo identificano come un nemico. La reazione, insomma, è che diventa il nemico per un insieme di altri soggetti e poteri che trovano la sua presenza esondante anche nei loro campi: quello giudiziario è quello più clamoroso, con tutte le annesse e connesse anomalie. Ma ci sono anche ragioni antropologiche".

Quali?

"Berlusconi è antropologicamente antitetico alla storia della sinistra italiana, è “altro” rispetto a loro. Sotto molteplici profili. Da qui anche la caduta linguistica degli attacchi che è il cascame populista o la degenerazione populista di cui si fa carico il Movimento 5 Stelle, che ha una delle ragioni fondanti proprio nell’anti-berlusconismo".

Ma la demonizzazione come cifra dell’azione politica ha fatto bene o male alla sinistra?

"Per una fase ha funzionato, per ricompattare le truppe che non avevano una strategia comune. E l’individuazione di un nemico assoluto ha funzionato. Ma nella fase finale della parabola berlusconiana questa operazione non paga più. E, infatti, si ripresenta oggi, non a caso, anche nell’anti-salvinismo, sia pure con caratteristiche differenti, ma con lo stesso scopo. Ma rimane da considerare che la crisi della sinistra sta nel fatto che a questa strategia comunicativa fanno fatica a affiancare quello che è uno dei principi basilari della politica: la rappresentanza sociale".