Delitto Ciatti, solo 15 anni al ceceno L’ira del padre: "È una vergogna"

Firenze, i familiari del giovane impugneranno la sentenza. "Un minimo di giustizia per nostro figlio". Avviato un procedimento in parallelo in Italia: chiesto l’arresto anche dell’altro autore dell’aggressione

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di Stefano Brogioni

Tra quindici anni e venticinque, il giudice Adolfo Garcia Morales ha scelto il minimo. A quindici anni ammonta la pena che il tribunal de jurado di Girona, in Spagna, ha inflitto al ceceno Rassoul Bissoultanov, 29 anni, il lottatore esperto di arti marziali che con un calcio alla testa, sferrato sulla pista della discoteca “St Trop“ di Lloret de Mar, uccise il 22enne di Scandicci (Firenze) Niccolò Ciatti. Era la notte dell’11 agosto 2017. Niccolò, titolare di un banco di frutta al mercato di San Lorenzo, ballava con gli amici nell’ultima sera prima del ritorno in Italia. Ciatti e Bissoultanov, figlio di rifugiati politici riparati a Strasburgo, non si erano mai visti prima. Un pestone, qualche spinta e il ceceno, spalleggiato dal connazionale Movsar Magomadov (assolto in Spagna dall’accusa di aver concorso nell’omicidio), prima mise ko il 22enne, poi lo finì con un calcio alla testa. Gli ultimi secondi del pestaggio sono stati filmati da un telefonino.

Grazie anche a quelle immagini inequivocabili, agli esiti dell’autopsia, alle perizie che hanno qualificato il calcio del lottatore come "professionale", il 3 giugno, al termine di un processo maratona celebrato in cinque giorni a più di quattro anni di distanza dai fatti, la giuria popolare ha condannato il ceceno all’imputazione più grave, quella di omicidio volontario.

L’alternativa era una sorta di delitto preterintenzionale, che nel codice penale iberico viene punito con non più di cinque anni.

In dieci pagine, depositate ieri, il magistrato togato ha quantificato e motivato la pena per Bissoultanov, oggi libero dopo quattro anni di carcerazione preventiva: lavora in un bar di Girona e si presenta in caserma a firmare. Sia il calcolo – assai lontano dai 24 anni chiesti dal pm di Girona Victor Pillado –, che alcune parole usate nella sentenza, hanno scatenato rabbia e sdegno nei Ciatti. "Giustificare una sentenza del genere con “per quanto possa sembrare duro ai parenti” fa credere che dovrebbe cambiare lavoro – si sfoga il padre Luigi –. Continueremo a lottare per dare a Niccolò quella giustizia che merita, ci troviamo di fronte persone che dovrebbero essere dalla nostra parte ma che invece sono al fianco degli assassini. Siete la vergogna di un mondo civile, quando tornate a casa avete il coraggio di guardare negli occhi i vostri figli?"

La famiglia annuncia che impugnerà la sentenza "per cercare di dare un minimo di giustizia a Niccolò". I loro legali spagnoli, Christian Maiolo e Francesc Co, hanno dieci giorni per farlo. Nel frattempo, l’altro avvocato, Agnese Usai, sta preparando il processo “parallelo“ in corso a Roma, aperto dalla procura per l’inerzia spagnola. L’Italia ha chiesto l’estradizione (e l’arresto) di entrambi i ceceni: quella di Magomadov è stata negata dalla Francia, quella di Bissoultanov era stata concessa, ma i giudici lo hanno liberato alla vigilia dell’avvio del processo e lui è tornato in Spagna, dove non rischia, per ora, l’arresto. Venerdì, in programma la testimonianza di familiari e amici di Niccolò.

È una corsa tra tribunali: chi, tra Spagna e Italia, arriverà per prima a una sentenza definitiva, deciderà anche il destino giudiziario del ceceno. La Spagna, dove si è già concluso il primo grado, è più avanti. Ma babbo Luigi tifa per il nostro Paese. "Mi viene spontaneo pensare all’omicidio di Willy e alle sentenze di ergastolo che sono state date agli assassini. Invece, vedo un trattamento così diverso, tra l’Italia e la Spagna, ma anche tra i nove giurati che hanno giudicato l’assassino di Niccolò colpevole di omicidio volontario e il loro presidente della giuria".