La signora in giallo: "Ecco come risolviamo i delitti perfetti"

Martina Torta, 36 anni, commissario capo della Scientifica: "La scena del crimine è un puzzle da sistemare"

Martina Torta, 36 anni, commissario capo della Scientifica

Martina Torta, 36 anni, commissario capo della Scientifica

Roma, 3 febbraio 2022 - Il giallo di Liliana Resinovich - omicidio o suicidio? - arriva alla prova della Scientifica e all'analisi degli oggetti ritrovati accanto al cadavere. Ma quali sono oggi le tecniche più sofisticate che permettono di risolvere gli enigmi?

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Lo abbiamo chiesto a Martina Torta, 36 anni, commissario capo della Scientifica, dirige la terza sezione della prima divisione del servizio a Roma, nella struttura centrale di direzione e coordinamento. Siciliana, laureata in Giurisprudenza. Esordio a Torino, impegno nell’ordine pubblico. A quegli anni risale anche il suo interesse per la Scientifica, primo incarico a Palermo. Poi il trasferimento a Roma.  Analisi investigativa scena del crimine, così si chiama la sua squadra. Sono gli specialisti dei delitti perfetti, dei gialli, dei casi complessi. Spiega: "Vado a supporto del territorio. Un rinforzo“.

Trieste, cadavere nel parco: è di Liliana Resinovich? Un cadavere senza segni di violenza. Oggetti sotto la lente. Cosa avete a disposizione per poter risolvere un enigma? “Sulla scena del crimine, si possono individuare sia tracce visibili sia tracce che noi definiamo latenti, che devono essere osservate con strumenti particolari o esaltate con alcuni prodotti. Ad esempio le polveri esaltatrici per le classiche impronte digitali o palmari. Queste sostanze sfruttano il sudore che rilasciamo normalmente attraverso le mani".

Martina Torta, 36 anni Come vengono usate le luci forensi? “Sono strumenti ottici, su spettri che non sono normalmente sfruttati dal nostro occhio. Quindi andiamo a livello di raggi ultravioletti o infrarossi. Possono darci un’indicazione sulla presenza di sangue, sperma, saliva. Il lato positivo delle luci forensi è che non c’è un’interazione con l’ambiente, quindi non vado a modificarlo. Sono strumenti di osservazione, orientativi. Perché oltre al sangue, al liquido seminale, ci sono altre sostanze che reagiscono, e che producono discromie, banalmente anche il succo di frutta. Quindi sono uno strumento di osservazione preliminare che può essere utile per la ricerca di tracce biologiche".

Liliana Resinovich, le 3 domande senza risposta Cadavere al chiuso o all'aperto: quali le differenze? “Se siamo in un luogo chiuso è tutto più semplice. Intanto perché so chi ha accesso a quell’ambiente”. All’aperto invece le tracce si disperdono? “Sicuramente ci sono mille variabili. Perché una cosa è fare una ricerca di impronte su un sacchetto di plastica, su uno specchio. Una cosa è fare ricerca sul terreno. Lì non troverò mai impronte“. Quali sono allora gli strumenti che utilizzate? “Al di là dell’ambiente, ci si concentra su quello che c’è sul cadavere, o su oggetti rinvenuti addosso al corpo". Come si fa a far parlare gli oggetti? “Individuando le famose tracce latenti. Che possono essere le impronte, abbiamo detto possiamo rilevarle con le polveri ma anche con altri strumenti, ad esempio la supercolla. E ancora le tracce biologiche. Se ad esempio trovo sulla scena un coltello, quel coltello lo reperterò. E cosa potrò fare? Portrò cercare tracce biologiche sul manico. Posso trovare ad esempio cellule di sfaldamento. Con gli strumenti moderni che abbiamo a disposizione, nell’ambito della genetica forense, consentono di ricavare anche con la sola presenza di 4-5 cellule, di ricavare il dna nucleare. Che ha valore identificativo. Basta sfiorare un oggetto".

Una conquista notevole.

"Vent’anni fa non era pensabile una cosa del genere. In passato, non si facevano identificazioni con cellule di sfaldamento e dna da contatto. Si pensava solo all’uso del sangue per individuare l’appartenenza a un determinato gruppo sanguigno. Oppure per la ricerca del dna mitrocondriale, che mi indicava solo la parentela". Quindi non esiste il delitto perfetto, gli oggetti alla fine riescono a incastrare l’assassino? “Ci sono diverse variabili in gioco. Noi puntiamo la nostra attività sul famoso principio, ogni contatto lascia una traccia. In realtà, non è detto". Esistono delitti impuniti? “Possono esistere. Ad esempio perché si è stati particolarmente abili o perché le tracce si possono essere deteriorate con il tempo. Oppure perché un oggetto che è stato esposto eccessivamente all’aria, alle intemperie, alla pioggia. La pioggia e l’umidità provocano danni gravissimi. Quindi sicuramente se trovo un cadavere in una stanza o in un luogo bagnato, umido, esposto all’aria, le probabilità di successo sono molto più basse, questo è chiaro. Anche per questo, le indagini non si devono mai concentrare soltanto sulla traccia scientifica, dev’essere a tutto tondo, l’investigazione diretta supporta quella scientifica e viceversa“.

Come si può definire la scena del crimine? “Un puzzle da sistemare“. Le capita di pensarci anche a casa? "Certo, ricordo tutti i casi che ho trattato. Le immagini, i volti, i cadaveri, i luoghi. È normale”.